Ella Sarip - Contemporary Romance
Scappata a New York per sottrarsi alle rigide regole della sua famiglia, Hong Haera torna a casa, in Corea del Sud, per il matrimonio della sorella gemella, la figlia perfetta. Essere costretta a prendere il posto della sposa all’altare di … altro
Se non ci fossi già passata non ci crederei. Stenterei a credere che una persona possa essere così sfortunata, ma io lo sono. Deve esistere una qualche equazione sbagliata nella mia vita.
Non sto facendo la vittima. Io sono la vittima! Anche un po’ ipocondriaca, lo ammetto. Tendenzialmente svampita. Geneticamente pessimista, e senza uno straccio di uomo in vista del matrimonio di mia sorella.
“Ti ha piantata, non è vero?” chiede Janet, poggiata al bancone del triage. I capelli biondi intrecciati le incorniciano il viso rotondo dai lineamenti germanici.
Decido che non le voglio rispondere, perciò fingo profonda concentrazione per la cartella clinica del mio ultimo paziente del pronto soccorso.
“A meno che quella non sia la foto del tuo cuore in frantumi…” Volta lo schermo del computer per dargli un’occhiata, ma spalanca la bocca, stupita. “Come ha fatto a infilarsi quella cosa per l’esofago?”
“Ha detto che era una sfida. Adolescenti, sai com’è…”
Janet sbatte le palpebre in risposta, ma liquido la faccenda riprendendo possesso dello schermo.
“Io non me lo ricordo più che cosa significa essere adolescente, ma sono sicura di non essermi mai ingoiata un coltello da burro.” Rabbrividisce. “Dev’essere pica” afferma decisa.
“Quando avrai l’impulso di ingerire oggetti non commestibili piuttosto che cibo, sappi che non vorrò essere il tuo dottore” l’avverto.
“Meschina!”
“Pare che dopo avesse intenzione di provarci con la forchetta. E lo vedi questo?” Indico la macchia bianca incastrata nello stomaco. “Ha iniziato con il cucchiaino da tè. Diversi cucchiaini da tè” aggiungo con un sospiro grave.
“Sembra una seppia, ma quanti sono?” Studia l’immagine con attenzione, poi si raddrizza. “È ufficiale, non ho vissuto appieno la mia adolescenza!”
“Non tutti possono permetterselo.”
“A parte te.”
Evito il suo sguardo carico di sottintesi. “Non capisco a cosa ti riferisci, dottoressa Jensen.”
“Oh, lo sai benissimo, dottoressa Hong” sorride angelica. “La ragazza coreana giunta in America per studiare alla Columbia e che ha deciso di non tornare più a casa. Non riesco a credere che la tua famiglia sia davvero così tremenda.”
Sbuffo ed esco dal programma del computer per il mio giro al pronto soccorso. Oggi sono la responsabile.
“Quanti soldi hai detto che ha la tua famiglia?” Mi segue ciondolando.
“L’ultima volta che ho controllato, mio nonno era alla posizione sessantacinque nella top cento degli uomini più ricchi del mondo” le ricordo, poi leggo la cartella di un paziente per verificare il risultato degli ultimi esami, sul tablet.
“Ancora non capisco che cosa ci tu faccia qui” brontola.
“Cerco di vivere la vita senza farmi condizionare dalle assurde regole della mia famiglia. E poi c’è mia sorella maggiore, a lei piace seguire le regole, è nata per essere la cocca del nonno.”
“Il che significa che sarà lei a ereditare la piccola azienda di famiglia?” chiede ancora Janet.
È incredibile che non si stanchi mai di sentire questa storia. Siamo state compagne di stanza fin dal primo anno di specializzazione, anno che ha sancito la nostra amicizia, nonché la sua morbosa curiosità sul mondo dei ricchi eredi della Corea del Sud. Senza contare che è una K-popper, K-drama addicted e divoratrice di ramen. Mangia qualunque cibo con le bacchette perché la fa sentire asiatica, e compra abiti e make-up quasi solo su YesAsia. Ha una fissa per le maschere in tessuto e la skincare coreana. Quando canta in lingua riesce perfino ad azzeccare quasi ogni parola senza nemmeno conoscerne il significato.
“Il suo matrimonio la consoliderà quale presidente della Mirae Global, frutto della fusione tra il Dara e il Saegil, i due gruppi più potenti della Corea del Sud” riprendo.
Nel frattempo, mi sposto verso un altro paziente per controllarne i parametri vitali.
“Quindi è un matrimonio di convenienza?” Il disappunto è evidente nella sua espressione.
“Quando sei nato con un cucchiaio d’argento in bocca non puoi decidere chi sposare, devi solo fare quello che ti viene detto. È il prezzo da pagare per continuare a spendere tutti quei soldi come se non ci fosse un domani.”
“Non capisco perché ti preoccupi così tanto di trovare un accompagnatore per il suo matrimonio. Ti accompagno io!” si offre gioviale. Troppo gioviale.
“Sono la pecora nera della mia famiglia. Ho già raggiunto i trentun anni, e dal momento che perfino mia zia si è già sposata quattro volte, sono tutti convinti che mi sia data allo zitellaggio selvaggio.” Mi prendo un momento per riflettere e aggiungo: “Certo, si è sposata quattro volte perché i suoi mariti tendono a morire. Non ha molta fortuna!”
“Se avessi tutti i soldi che ha tua zia, non me ne farei granché della fortuna” replica Janet.
Tende a dimenticare tutti i lati negativi della mia famiglia, anzi, credo che non ne prenda in considerazione nemmeno uno. È convinta che la mia vita sia come quella di uno dei K-drama che le piace guardare, ma si sbaglia. Il suo passatempo è sfogliare riviste di gossip e farmi notare quando la mia famiglia viene citata o intervistata dalle maggiori testate giornalistiche del mondo. Qualche volta salta fuori perfino il mio nome, ma nessuno ci fa mai caso. Nessuno crederebbe che la dottoressa Hong Haera di New York sia legata a una delle famiglie più potenti della Corea, perciò vivo in un felice anonimato. Non per niente i giornalisti coreani mi hanno soprannominata la principessa fantasma.
“Non dovresti farci caso, sei una donna emancipata, un chirurgo rispettato, anzi, sei stata il chirurgo più giovane che questo ospedale abbia mai avuto, e a trentun anni sei a un passo dal diventare capo del pronto soccorso”.
Per un momento ci credo, e penso che dovrei davvero comportarmi da donna emancipata, sfilare il reggiseno e camminare a piedi nudi sui prati.
Esatto, a cosa mi serve un uomo? Sono un’adulta, dopotutto!
E questo discorsetto d’incoraggiamento potrebbe pure funzionare, se il matrimonio venisse celebrato qui a New York, o sulla punta del Kilimangiaro, o in qualsiasi altra parte del mondo che non sia Seoul. Funzionerebbe se facessi parte di una famiglia normale, se mio nonno non mi guardasse costantemente come un rottweiler a cui ho rubato l’osso e non disapprovasse ogni respiro, scelta o pensiero che faccio. Non mi ha perdonata per essere scappata e ancora mi perseguita in sogno. E non è nemmeno morto!
E poi ci saranno tutti quei giornalisti pronti a saltarmi addosso come avvoltoi, perciò, se proprio devo finire in qualche copertina, preferisco accada per il mio sedere – come un’altra famosa sorella – piuttosto che come la ribelle ancora single. Ma dal momento che il mio sedere non è niente di speciale, ho bisogno di un uomo. Uno qualsiasi, decente e con una buona dentatura, considerando che non potrà fare altro che sorridere non capendo una parola di quello che gli verrà detto. Certo, verrò criticata per essermi presentata con uno sconosciuto americano che non sa distinguere un asiatico da un altro, ma siamo nell’era del K-pop e della fibra ottica, posso ancora permettermi un moto di sana ribellione. Se non altro per intrattenere le solite pettegole che a Seoul si riproducono come batteri.
“Dottoressa Hong? Abbiamo un’emergenza, potrebbe venire?” chiede uno degli specializzandi del secondo anno, sbucato da dietro una tenda.
“Al secondo anno ancora hai bisogno della baby sitter?” lo redarguisce Janet.
Il ragazzo quasi si mette sull’attenti, facendomi sorridere.
Infilo le mani nelle tasche del camice e sferro una leggera gomitata a Janet. “È il mio specializzando!”
“È che il paziente non vuole farsi toccare da nessuno se non da un chirurgo plastico” spiega allarmato.
“Oddio! Chi abbiamo qui, Zac Efron? Dove ha bisogno di punti?” Sollevo gli occhi al cielo e seguo il mio specializzando dopo aver lanciato a Janet un’ultima occhiata.
“Pensa alla mia proposta” insiste lei, andando via.
Scuoto la testa e mi dedico al mio specializzando, che nel frattempo mi spiega il problema: “Ha il sopracciglio spaccato, sanguina molto, ma non vuole che nessuno lo tocchi. Dice che tra quattro settimane deve partecipare a un evento importante…”
Sollevo la mano per farlo tacere. “Ho capito, faccio io, vai a riattaccare qualche arto adesso.”
Scosto la tenda dopo aver preso un respiro e affronto Mister Sopracciglio Spaccato.