Tamara Balliana - Contemporary Romance
Margot, rinomata organizzatrice di eventi, riceve un’opportunità d’oro: organizzare il prestigioso gala di San Valentino per un importante brand di lusso. L’unico problema? Deve collaborare con Elias Vernay, un artista ribelle dalle idee poco convenzionali: il suo opposto. Tra divergenze … altro
I tacchi delle mie décolleté risuonano sul marmo immacolato del Richmond Palace di Cannes. Controllo l’orologio per la terza volta in cinque minuti, un tic che ammetto senza vergogna.
19:47. Tra esattamente tredici minuti, i trecento ospiti di questa cena di gala varcheranno le porte. Tutto deve essere assolutamente perfetto.
Sistemo con scrupolosità il mio tailleur nero su misura: un investimento che non ho mai rimpianto, soprattutto in momenti come questo, quando apparire impeccabile è importante come respirare. I miei capelli sono raccolti in uno chignon stretto. In questo ambiente, l’aspetto è un linguaggio, e io lo parlo fluentemente.
“Margot! Abbiamo un problema!”
Leslie, il mio braccio destro alla Prestige Événement, corre verso di me con la grazia di un fenicottero in preda al panico. I tacchi minacciano di farla cadere a ogni passo. Faccio un respiro profondo. Nel nostro mestiere, la parola “problema” è comune quanto le influencer in prima fila alle sfilate di moda.
“Due ospiti in più al tavolo principale” annuncia, senza fiato.
“Hai avvisato il maître dell’hotel?”
“Sì, ma…”
Esita, tormentandosi la manica della camicetta.
“Non abbiamo segnaposti personalizzati per loro.”
Chiudo gli occhi, visualizzando mentalmente la disposizione del tavolo.
“Segnaposti neutri?”
“Impossibile, sono modelli stampati con inchiostro dorato.”
Un sorriso mi sfiora le labbra. È in momenti come questo che il mio cervello entra in modalità “risoluzione di equazioni”.
Grazie, papà, per avermi trasmesso la tua logica matematica impeccabile!
Mi avvicino al tavolo principale a passo deciso, con Leslie alle calcagna. Con un gesto, inizio a rimuovere tutti i segnaposti.
“Ma cosa stai facendo?!” si allarma Leslie.
“Le persone che siedono al tavolo d’onore lo sanno già, non hanno bisogno di un cartoncino con il loro nome per ricordarselo. Anzi, così è persino più elegante.”
Non ho neanche finito di parlare che una bionda in abito rosa mi si lancia contro come un tornado. La fiorista. L’espressione terrorizzata mi suggerisce che la serata è tutt’altro che finita.
“Mademoiselle Morel! Uno dei vasi dei centrotavola si è rotto durante il trasporto!”
Mantengo il sorriso professionale.
“Prenda una delle composizioni dal buffet.”
“Ma… sarà diversa dai centrotavola!”
“Perfetto. La metta al tavolo d’onore.”
Indico il punto esatto.
“La sua grandezza coprirà l’assenza dei segnaposti. E soprattutto, attirerà l’attenzione sui fiori invece che su questo dettaglio.”
La fiorista mi guarda come se avessi appena trasformato l’acqua in vino, poi si affretta a eseguire l’ordine con entusiasmo.
Do un’occhiata all’orologio. 19:52. Nel mio mondo, otto minuti sono un’eternità. Abbastanza tempo per controllare tre volte che tutto sia al suo posto.
Mentre i camerieri eseguono i ritocchi finali, mi rifugio dietro una colonna Art Déco per leggere un’ultima volta la mia lista di cose da fare. Il respiro si regolarizza mentre scorro freneticamente la checklist sul tablet. Tutta la mia vita è organizzata in liste: spesa, compiti, obiettivi e persino potenziali appuntamenti romantici (una lista particolarmente corta ultimamente, devo ammetterlo).
La mia mente vaga verso l’ultima relazione. Luc. Un banchiere che sulla carta sembrava perfetto. Avevamo persino un’agenda condivisa per coordinare gli appuntamenti. Avrebbe dovuto funzionare. Tutte le variabili erano allineate. Eppure, è finita con lui che mi accusava di essere “troppo calcolatrice”. L’ironia non mi è sfuggita.
“La gente non è un’equazione, Margot” mi ha detto mia madre dopo la rottura. Facile dirlo, per una che si è sposata tre volte.
Scuoto la testa per scacciare quei pensieri. Non è il momento di dubitare del mio metodo. Mi ha portata fin qui, no? A trentadue anni, sono considerata una delle migliori organizzatrici di eventi della Costa Azzurra. Le mie serate sono sinfonie perfettamente orchestrate, dove nulla è lasciato al caso.
Mio padre direbbe che è merito della logica matematica. Lo vedo ancora nella nostra piccola casa in Normandia, a correggere compiti con la penna rossa, spiegandomi che ogni problema ha una soluzione: basta applicare la formula giusta.
Dopo il divorzio dei miei genitori, le equazioni sono diventate il mio rifugio. A differenza delle emozioni umane, i numeri non mentono mai.
Dalla cucina mi arriva una conversazione smorzata. Tendo l’orecchio, sento il corpo irrigidirsi. L’ultima cosa di cui ho bisogno stasera è un problema con il catering. Ho scelto questo luogo anche per il suo chef stellato.
Non che dubiti delle mie capacità di gestire la situazione. Una volta ho salvato un matrimonio dopo che la madre della sposa era scappata con il DJ.
Do un ultimo sguardo alla sala. I lampadari di cristallo diffondono una luce soffusa che fa brillare i bicchieri, allineati con simmetria perfetta sui tavoli rotondi. Le composizioni floreali creano un’armonia visiva, calcolata al millimetro. Persino la distanza tra le sedie è rigorosamente uniforme.
Questa è la mia sinfonia, il capolavoro della serata. Eppure, come sempre, non posso fare a meno di sentire che manca qualcosa. Ma cosa?
Gli ospiti iniziano ad arrivare. Raddrizzo le spalle e mi sistemo il tailleur un’ultima volta. Lo spettacolo inizierà a momenti e io sarò il burattinaio invisibile di questa cena di gala meticolosamente orchestrata.
***
La serata è ormai nel vivo, e io mi muovo tra i tavoli con la precisione di un GPS di ultima generazione. Tutti i fornitori sono arrivati puntuali, un miracolo che attribuisco ai miei promemoria automatici inviati ogni ora da stamattina. Lo chef ha impiattato le pietanze seguendo esattamente le foto di riferimento che gli avevo mandato (dopo averle ritoccate su Photoshop, per ottimizzare il rapporto rivestimento/proteine).
Prendo il telefono e apro l’app di videosorveglianza del mio appartamento. Excel, il mio gatto, dorme placidamente sul cuscino. Almeno un essere vivente che rispetta i propri programmi senza che qualcuno gli stia addosso. L’ho chiamato così perché è prevedibile e organizzato quanto me, ma a volte i sonnellini si prolungano oltre il tempo assegnato nel mio file Planning quotidiano.xlsx.
“Mademoiselle Morel!” mi chiama il cliente che ha richiesto i miei servizi per l’organizzazione di questo evento. “Questa serata è assolutamente perfetta!”
Sorrido con educazione, annotando mentalmente che l’uso della parola “perfetta” è prematuro. Mancano ancora il dessert e i discorsi. L’esperienza mi ha insegnato che una cena può dirsi riuscita soltanto quando l’ultimo ospite se ne va.
I complimenti continuano a piovere come coriandoli (che, tra l’altro, ho bandito dai miei eventi dopo l’incidente nel 2021! Una storia che coinvolge un sistema di ventilazione e delle candele).
“Che organizzazione impeccabile!” “Tutto è perfettamente coordinato!” “Si vede che nulla è stato lasciato al caso!”
Eppure, mentre spunto meccanicamente le ultime voci sulla checklist digitale, un sentimento strano mi assale. Come se non fossi completamente soddisfatta.
Scaccio via questo pensiero molesto. La perfezione non ammette ma. È come in matematica: o è giusto o è sbagliato. Non ci sono zone grigie, nessun “quasi perfetto”.
“Leslie!”
Chiamo la mia collega che passa al mio fianco.
“La scaletta dei discorsi è confermata?” “Sì, Margot. Come le ultime quindici volte che me l’hai chiesto.”
Ignoro la punta di ironia. So di metterle pressione, ma nel nostro mestiere la ridondanza non è un difetto, bensì un’assicurazione sulla vita. Credo che Leslie lo capisca: non ho nulla contro di lei, è soltanto il mio modo di gestire lo stress.
Sul telefono apro il file Excel Statistiche di successo eventi. Aggiungo una nuova riga, compilando meticolosamente ogni colonna: Tasso di partecipazione, Rispetto del timing, Soddisfazione del cliente… Tutto è in verde.
Eppure, mentre sto per validare l’ultima cella, il dito rimane sospeso sopra lo schermo. Nella colonna Osservazioni personali, non so cosa scrivere. Come quantificare questa vaga insoddisfazione che mi perseguita?
Scuoto la testa. Tutto era perfetto. Non è il momento di filosofeggiare. Ho ancora tre punti da verificare prima di poter considerare la serata ufficialmente conclusa.
***
Nonostante nulla mi dia più soddisfazione di un evento riuscito, amo il giorno dopo, quando ritrovo la quiete dell’ufficio a Cannes.
Sto terminando un’e-mail quando il telefono vibra. Il nome che appare sullo schermo mi fa quasi gridare di gioia: Claudine Dubernet, direttrice eventi di Clairmont Parfums.
“Margot Morel.”
Nel rispondere, cerco di assumere il tono più professionale possibile.
“Margot, sono Claudine. Spero di non disturbarla.”
Guardo lo schermo. Anche se non ho ancora terminato l’e-mail, non mi sta interrompendo in un momento critico. E, ad essere sincera, anche se lo fosse, non glielo farei pesare.
Ho già collaborato con Claudine durante gli eventi minori della sua azienda, sperando di guadagnarmi la sua fiducia. Attendo con impazienza che mi proponga qualcosa di più significativo.
“Assolutamente no, mi dica pure.” “Siamo entusiasti del suo lavoro al nostro team building del mese scorso.”
La sua voce è calda, quasi melliflua. Conosco bene questo tono: di solito precede una proposta interessante.
“Perciò ho pensato a lei per un progetto… particolare.”
Il mio cuore accelera, ma cerco di non lasciarlo trasparire nella voce.
“Ha la mia attenzione.” “Stiamo per lanciare un nuovo profumo. Si chiama Étreinte. È un’ode all’amore. L’amore che, come un abbraccio, può essere timido o decadente.”
Annoto il nome del profumo e le parole ode all’amore, timido e decadente sul mio taccuino, sempre a portata di mano per registrare dettagli che possono rivelarsi utili, anche soltanto per dimostrare al cliente che presto attenzione a tutto.
“Vorremmo organizzare un gala straordinario per il lancio, a San Valentino. Quale data potrebbe essere più adatta per un inno all’amore?”
Un breve silenzio. È il momento in cui devo rispondere:
“Perfetto.”
Claudine prosegue:
“La componente principale di Étreinte è la rosa Centifolia. Come sicuramente saprà, è…” “Coltivata a Grasse.” La anticipo. “Esattamente!”
Sembra entusiasta che io abbia colto subito il dettaglio.
“Ecco perché abbiamo deciso di organizzare l’evento proprio lì.”
E io ho il mio ufficio a pochi chilometri dalla città dei profumi.
Non trattengo il sorriso: tanto non c’è nessuno a vedermi.
Clairmont Parfums. Un gala di lancio. A Grasse.
Il mio cervello calcola già l’impatto mediatico per l’agenzia.
“Il concept è semplice” continua Claudine, “una celebrazione dell’amore nella sua forma più pura, come l’essenza della nostra rosa. Vogliamo qualcosa di indimenticabile.” “Ho già in mente diverse…” “Aspetti” mi interrompe. “C’è un dettaglio importante. Lavorerà in collaborazione con Elias Vernay.”
Il sorriso si irrigidisce.
Chi è? Un concorrente? Un dipendente di Clairmont? La seconda ipotesi mi sembra più plausibile.
Apro freneticamente il mio database su Clairmont Parfums. Nessun Elias.
Claudine fornisce parte della risposta:
“Il nostro presidente ha adorato una sua mostra, qualche anno fa, e ha pensato che sarebbe geniale coinvolgerlo. Si occuperà dell’atmosfera visiva e artistica. Sarete un duo complementare.”
Dunque, un artista.
Un nodo mi si stringe in gola.
Non mi fido degli artisti. Sono le persone più imprevedibili che esistano.
In ogni caso, il tono rimane professionale:
“Sarà un piacere collaborare con il signor Vernay.”
Ma lo sarà davvero?