Tehanu - Boys Love
Nella loro squadra criminale, il capitano Hyejun Nam e il commissario Dojin Sah formano una coppia incredibile. Ma il legame è tutt’altro che armonioso. Ogni conversazione diventa uno scontro verbale. I litigi, ricorrenti nella stazione di polizia, alimentano discussioni e … altro
Avremmo dovuto ammazzarlo, quello stronzo.
La voce monotona di Sah Dojin ripeteva la stessa frase in continuazione. Con addosso un elegante completo a tre pezzi, si girò di nuovo verso Hyejun prendendo una bottiglia di acqua minerale dalla sala da pranzo della suite.
“Avremmo dovuto ammazzarlo, quello stronzo... Lei che cosa ne dice, capitano Nam?”
Nel salone, il suddetto Nam, caposquadra della divisione anticrimine, osservava a turno gli schermi dei computer portatili. I video trasmessi sui monitor erano registrati da telecamere di sorveglianza presenti nei corridoi dell’hotel a cui la sua squadra di ispettori aveva ottenuto il permesso di collegarsi.
Il sospettato che dovevano arrestare quel giorno era un cliente che alloggiava in un’altra camera del piano in cui si trovavano. Era già da un’ora che i due uomini si erano appostati, in agguato, in una delle suite dell’hotel per catturare il criminale non appena avesse messo piede fuori dalla sua stanza.
“Io dico che sono solo chiacchiere. Dato che è ancora vivo e vegeto...” rispose Hyejun con disinteresse.
“La famiglia di una vittima di frode che si è suicidata ha sequestrato e aggredito il truffatore. Quel criminale ha registrato tutto in un file audio e fa causa alla famiglia per tentato omicidio. Cosa dovrebbe fare la polizia, secondo lei?” chiese Dojin.
“Il truffatore ha osato denunciare la famiglia della sua stessa vittima? Dev’essere un mostro.”
“È un caso totalmente ammissibile. Allora, lei che cosa farebbe?” insistette Dojin.
“E che cosa vuole che faccia? Anche se quel tipo è un infame, un reato resta comunque un reato. Siamo obbligati ad accettare la denuncia.”
“Parla proprio come uno sbirro.”
“Mi pare ovvio, dato che lo sono.”
Con uno sguardo d’intesa, Dojin bevve lentamente qualche sorso d’acqua.
Hyejun lo squadrò con la coda dell’occhio. Aveva un bel corpo, nel senso convenzionale del termine: muscoloso, gambe lunghe, spalle larghe sormontate da un lungo collo esile. Hyejun osservò a lungo i sussulti del suo pomo d’Adamo prima di riprendere la parola:
“Lo ammetta, commissario, ha prenotato questa suite solo per farmi arrabbiare, vero?”
Dojin posò la bottiglia d’acqua a mo’ di risposta per poi dirigersi verso il salone che fungeva da sala di controllo. I suoi passi misurati ed eleganti erano talmente leggeri da non produrre neanche uno scricchiolio. Guardandolo, Hyejun scorse un orologio lussuoso fare capolino dalla manica della sua camicia.
Questo stronzo è pieno zeppo di soldi!
Doveva regolare immediatamente, qui e ora, la questione dei costi dell’hotel che si preannunciavano esorbitanti. Quando Dojin si avvicinò, rincarò la dose:
“Commissario, è un inutile spreco! Il nostro budget per l’indagine non riuscirà mai a coprire i costi di una camera così cara.”
“Capisco.”
“Se è solo per farmi arrabbiare, esistono sicuramente dei modi meno onerosi di...”
“Ho capito” rispose seccamente Dojin con malcelata indifferenza.
Hyejun detestava profondamente quel tipo, ma la cosa che lo faceva imbestialire era proprio quella: la sua calma imperturbabile, quella flemma esasperante, come se gli piacesse far innervosire gli altri restando sempre padrone di sé stesso. Mentre rimuginava sul suo odio, Dojin era già di fianco a lui.
Un sentore dolce, quasi impercettibile, solleticò le narici di Hyejun. Non era né un profumo sintetico né semplice odore corporeo. Sembrava un connubio perfetto tra i due.
“Salderà lei la nota spese, commissario! Non permetterò ai suoi gusti costosi di far finire la nostra unità sul lastrico.”
Quest’ultima replica sembrò contrariare Dojin, che girò con disinvoltura la testa. Il suo viso pallido aveva un’aria austera, quasi ascetica, con lineamenti fini e delicati, ma uno sguardo pregno di cinismo. Solo la sua voce dolce era in contrasto con quell’aura gelida.
“E va bene, ho capito...” rispose il diretto interessato. “È la terza volta che mi ripeto. La avverto: me lo chieda un’altra volta e andrà a finire male, intesi?”
“È che non mi pare che lei abbia davvero afferrato il...” esitò Hyejun, non riuscendo a esprimersi liberamente come avrebbe voluto.
Che avesse capito o meno, il commissario faceva sempre quello che voleva, e Hyejun era stufo di stare sempre sul chi vive per colpa sua.
L’autunno precedente, pochi giorni dopo la nomina di Dojin come caposezione della divisione anticrimine, c’era stato un incidente.
Quel giorno, durante un interrogatorio, un sospettato in custodia aveva conficcato il corpo del reato, un paio di forbici in acciaio inossidabile, nella mano di Dojin. Nonostante la violenza dell’aggressione, quest’ultimo non aveva emesso un suono né fatto mezza smorfia di dolore. Il suo viso pallido era rimasto impassibile. Anzi, aveva addirittura ficcato ancora più a fondo l’arma nella carne per poi aggiungere un atto di violenza aggravata al fascicolo dell’indagato. Poco dopo, aveva fatto trapelare l’incidente ai media per screditare il sospettato e renderlo un caso sociale irrecuperabile, fatto che aveva influenzato persino la sentenza del giudice. Da quel momento in poi, Hyejun ne era convinto: Sah Dojin era completamente fuori di testa.
E, soprattutto, era importante non farsi ingannare dal suo portamento distinto e dalle sue buone maniere.
“Capitano Nam, risparmi il fiato e cerchi di assimilare quello che le viene detto, la prossima volta.”
“Quello che non capisco è perché si disturba a partecipare a un appostamento a cui persino io, che sono capitano, ho esitato ad acconsentire.”
“Non si preoccupi di questioni che non la riguardano e si limiti a fare il suo lavoro.”
Hyejun, irritato, chiuse un secondo gli occhi per poi riaprirli. Decise di tracciare il carattere cinese di “pazienza” (忍) nella mente per calmarsi.
I due poliziotti erano come cane e gatto. Quando avevano a che fare l’uno con l’altro, litigavano dopo dieci secondi al massimo e passavano il resto del tempo a scontrarsi. Bisticciavano ogni singolo giorno su tutto, a prescindere dal tema, fino allo sfinimento. Quell’antipatia reciproca era profonda e risaliva a molto tempo prima.
Deciso a trattare l’uomo con indifferenza, Hyejun voltò la testa. Il suo superiore fece lo stesso, gesto che lo irritò ancora di più. Serrando i denti, si mise a fissare ostinatamente lo schermo del suo portatile. Dojin, invece, scrutava con attenzione gli agenti travestiti da dipendenti dell’hotel che passavano sulle riprese delle telecamere. Le loro braccia si sfiorarono quando Dojin si piegò leggermente per guardare uno dei monitor alla sua destra. Hyejun sussultò, contraendo le guance pallide. Tutto il suo corpo si pietrificò per il nervosismo. Più si sforzava di non pensarci, più sentiva distintamente i muscoli tonici di Dojin attraverso il tessuto. Il profumo delicato del suo corpo si faceva sempre più forte.
“Si può fare più in là, per la miseria?”
Forse Dojin aveva percepito la sua agitazione perché aveva smesso di fissare gli schermi per guardarlo di sfuggita. I suoi occhi taglienti mostravano giusto un accenno di fastidio.
Hyejun aspettò, sicuro che avrebbe preso le distanze. Il Dojin che conosceva si sarebbe spostato immediatamente, alla prima occhiata. Ma questi, inaspettatamente, restò immobile.
Hyejun chiuse la mano a pugno e la riaprì per calmarsi, invano. Ebbe poi un’idea per togliersi da quella situazione scomoda: contattare la sua squadra. Allontanandosi leggermente, afferrò il telefono. Per fortuna, Dojin non si mosse.
“Qui Nam Hyejun. Qual è la situazione?”
Aveva avviato una chiamata di gruppo e messo tutti in vivavoce. I suoi sottoposti risposero quasi istantaneamente:
“Niente di nuovo nel parcheggio, capitano.”
“Le uscite d’emergenza sono sotto controllo. Niente da segnalare.”
“Niente da segnalare neanche alla reception.”
Guardando l’orologio, Hyejun rispose con tono professionale:
“Sono le ore 16:55. Ancora nessuna attività sospetta nella camera, per il momento. E tu, Mah, invece? Non ti sento. Va tutto bene?”
Dopo un attimo di esitazione e un po’ di trambusto, si sentì la voce ansimante di Mah Jeongeun.
“Chiedo scusa, capitano! C’era un gruppo che stava scendendo al piano riservato alla spa. Tutto regolare agli ascensori. Ad ogni modo, capitano, il commissario è sempre lì?”
Hyejun lanciò un’occhiata a Dojin. Quest’ultimo si avvicinò leggermente, riducendo a un nonnulla la distanza che Hyejun aveva creato con tanta fatica. E, peggio ancora, le loro cosce si toccarono. Non c’era via d’uscita: a ogni suo tentativo di sottrarsi a quella situazione fatale, si scavava sempre di più la fossa.
Sto per esplodere!
Imperturbabile, Dojin rispose al volo:
“Sì, sono con lui.”
“Ah, perfetto! Il commissario generale chiede se prevede di tenere una conferenza stampa al commissariato dopo l’arresto del sospettato. Il procuratore ha bisogno di saperlo.”
“Dica pure a entrambi che è prevista per domattina.”
“Ricevuto, commissario. Riferirò il messaggio.”
“Ottimo. Squadra 1, ascoltatemi bene. Il sospettato ha un appuntamento alle 18:00, quindi dovrebbe uscire di qui tra trenta minuti al massimo. Voglio un rapporto della situazione ogni dieci minuti, anche se vi sembra tutto normale” ordinò pacatamente Dojin.
I subalterni acconsentirono in coro, e Hyejun, sempre teso come una corda di violino, riattaccò. Calò nuovamente il silenzio nella stanza mentre le gambe dei due uomini continuavano a sfiorarsi.
In una situazione così imbarazzante, la strategia migliore era alzarsi con più disinvoltura possibile. Prima che potesse muovere un dito, Dojin si piegò all’improvviso verso di lui. Non era un’allucinazione, sentiva il suo corpo pericolosamente vicino. Come un’onda che lambiva la spiaggia, il torace del commissario avanzava sempre di più nella sua direzione.
Hyejun, sconcertato e in preda al panico più totale, estrasse dalla fondina l’arma di servizio. Era un meccanismo di difesa automatico. Successe tutto così in fretta che, un attimo dopo, aveva la canna della pistola puntata sulla fronte liscia del suo capo.
“Basta così!” tuonò Hyejun.
Un poliziotto usava molto meno la propria arma di quanto si pensasse. Estrarla e puntarla contro qualcuno, a parte in circostanze pienamente giustificate, rischiava di farlo finire in grossi guai. Sì, Hyejun si rese conto che era stata senza dubbio una reazione spropositata. Ma, purtroppo, l’istinto aveva avuto la meglio sulla ragione.
Ah, merda! si lamentò tra sé e sé.
E, peggio ancora, si era appena reso conto di star già pronunciando le fatidiche parole:
“Mani in alto!”