Il sentiero segreto di rose e spine

Théo Lemattre - Fantasy Romance

Spinta al limite dopo una giornata estenuante, Ariane Fancier, capo autoritaria e inflessibile, arriva a desiderare a voce alta di diventare una semplice impiegata, senza responsabilità né preoccupazioni. Ma bisogna stare attenti a ciò che si desidera… La mattina dopo … altro


8 Episodi

Episodio 1

 

“Alzatevi, siete in ritardo.”

 

Faccio fatica ad aprire gli occhi. Che succede?

 

“Violette, mi sentite? Sbrigatevi!”

 

Bussano di nuovo alla porta.

 

Dove sono?

 

“Sto per entrare!”

“Eccomi… arrivo!”

 

Apro gli occhi e realizzo subito che non mi trovo a casa mia né conosco la persona dall’altra parte dell’uscio. Non riconosco nemmeno la porta e tanto meno so chi sia Violette, ma ora mi sente. Farebbe meglio ad alzarsi e mettere a tacere quella gallinaccia!

 

Dev’essere un sogno.

 

Spalanco la pesante porta di legno e mi trovo di fronte una donna dal volto adirato.

 

“Primo giorno da domestica e vi comportate già come una scansafatiche. Che ce ne facciamo di una come voi?”

 

Domestica?

 

“Seguitemi, adesso.”

 

Ieri sera mi sono addormentata nel mio appartamento, nel XVI arrondissement a Parigi, dopo una giornata intensa di lavoro. Credo di aver licenziato due o tre persone, non ricordo bene. E ora mi ritrovo qui, in quel che sembra essere… un maniero vittoriano?

 

“Ebbene, i compiti sono semplici, ma devono essere eseguiti alla perfezione. In ogni caso, da quanto sostenete, provenite dalla Scuola dell’Eccellenza, per cui non dovreste avere problemi. Sapete come fare il vostro lavoro. Ogni mattina si comincia con la preparazione della colazione per i padroni.”

 

I… padroni?

 

“Non guardateli mai negli occhi e non rivolgetevi a loro a meno che non vi interpellino, chiaro? Hanno fatto uccidere dei domestici per molto meno.”

 

D’accordo, qualcuno mi sta facendo uno scherzo. Non può essere altrimenti. Eppure, mentre ci incamminiamo lungo il corridoio, la donna che mi guida, apparentemente la governante, non sembra scherzare affatto.

Come un maître, impartisce ordini agli altri domestici.

 

Ora mi sveglio. Ora mi sveglio. Mi chiamo Ariane Fancier e sono la direttrice commerciale di una casa di alta moda a Parigi.

 

Mi sforzo di ricordare, ma niente.

La governante mi accompagna nelle cucine.

 

“Ecco. Potete cominciare con la preparazione. Fareste meglio a sbrigarvi, il padrone non ama aspettare.”

 

Scuoto la testa e avanzo una domanda:

 

“Chiedo scusa, ma… dove sono e chi siete voi?”

 

L’unica risposta che ottengo è uno schiaffo in faccia che parte come un colpo di pistola.

La governante punta il dito nella mia direzione con aria minacciosa.

 

“Niente di tutto questo è ammesso qui! Ci siamo intese? Io sono il vostro capo e, di conseguenza, i vostri padroni sono i vostri dei. È chiaro? Azzardatevi a porre ancora un’altra domanda così stupida e giuro che morirete all’istante. Non vi mostrerò alcuna pietà.”

 

Gira sui tacchi e sbatte la porta della cucina.

Sono allibita.

 

Cazzo, che diamine sta succedendo?! Che diavoleria è mai questa?

 

Per fortuna la cucina ha finestre che si affacciano sui giardini. Non ho mai visto nulla di tanto vasto. È una vera e propria tenuta!

La cura per i dettagli è ammirevole. Tutti i cespugli sono tagliati finemente, mentre solchi di ghiaia bianca formano sentieri tra l’erba verde. C’è anche una fontana che sembra essere di marmo raffigurante un uomo in armatura, con una spada in mano tesa verso il cielo.

Più avanti, oltre la tenuta, riesco a scorgere il mare. Il maniero in cui alloggio è incastonato tra le alture di una montagna assolata e, sotto a quella sabbia bianca, quasi sicuramente ci sarà una città vivace.

 

Sono tante le domande che mi frullano in testa. Dove mi trovo? È un brutto sogno? Non posso aver lasciato Parigi nel sonno senza essermene resa conto. Tutto ciò non ha senso!

Sembra… Annecy, ma non del tutto.

 

Cerco di recuperare la calma e il respiro mettendomi una mano sul petto.

 

Chiudi gli occhi, Ariane. Tutto tornerà come prima.

 

“Lei… se n’è andata?”

 

Una voce mi strappa immediatamente dai miei pensieri. Esile, dolce, femminile.

Mi volto e vedo quella che immagino essere una domestica. Dal piano di lavoro della cucina si scorge appena la sua testa.

 

“Siete Violette, vero? Sono così felice di conoscervi. Io sono Manon.”

 

Perché tutti mi chiamano in quel modo?

 

E all’improvviso la realtà mi travolge. Mentre apro la finestra per osservare meglio l’esterno e capire le mie vie di fuga, intravedo il mio riflesso.

All’inizio stento a crederci, ma quella non sono io. Non è il mio corpo. Non è la mia faccia. Quella che vedo davanti a me non mi assomiglia affatto. Lei è bruna e io sono bionda.

 

Mi allontano e sbatto sul piano di lavoro. Delle uova cadono a terra.

 

“Va tutto bene?”

“Che accidenti… cosa mi sta succedendo?”

 

Mi guardo le mani come se mi dovessero dare una risposta.

 

“Avete… bisogno di qualcosa?”

 

Mi volto verso la giovane bionda che è la mia compagna in cucina, con tutta la paura del mondo negli occhi.

 

“Di risposte.”

“In realtà, stavo per chiedervi io stessa della cucina, perciò…”

“Dove siamo?!” chiedo, afferrandola per le spalle.

 

Riesco a vedere lo stupore sul suo viso.

 

“P… Penisola Sud. Nella tenuta della famiglia Bohar.”

“Penisola Sud? Dove si trova? In Francia?”

 

Non mi piace affatto l’incredulità che scorgo nella sua espressione.

 

“No. Io… non conosco la Francia.”

“La Francia è… come fate a non conoscere la Francia? Chiunque la conosce!”

“Mi… mi dispiace tanto. È in Arcatiès?”

“Arcatiès? Che cosa sarebbe?”

“Lasciatemi andare, ve ne prego. Io… devo pulire il pavimento.”

 

Guardo a terra e vedo le uova ancora lì.

 

“Se i padroni o Almana se ne accorgono, siamo morte.”

“Almana è la governante? Quella che mi ha portato qui?”

 

Fa un rapido cenno d’assenso con la testa, come se volesse sbarazzarsi di me il prima possibile.

 

La lascio andare, solo per metabolizzare le informazioni che mi ha appena dato. Arcatiès. Penisola Sud. Famiglia Bohar. Non ci capisco nulla. Ho come l’impressione di essere finita in una casa di pazzi.

 

Manon prende una scopa e pulisce rapidamente il mio pasticcio, prima di sedersi di nuovo davanti al piano di lavoro con un sospiro.

 

“Pensavo… pensavo che mi avreste aiutata e formata. La servitù non parlava d’altro che del vostro arrivo.”

“Del mio arrivo? Ma…”

“Siete arrivata proprio ieri, direttamente dalla Scuola dell’Eccellenza. Avete avuto la fortuna di studiare lì, perciò conoscerete tutte le buone maniere e le esigenze dei re e delle regine di tutto il mondo, non è vero? Eppure sembra che non vogliate condividere i vostri segreti…”

 

Con una voce che sembra racchiudere tutti i dolori del mondo, torna a tagliare pezzi di carne, che mette da parte.

 

“Non sono… non sono chi pensate che io sia” borbotto, afferrandole il braccio. “Ascoltate, c’è stato un grave malinteso e devo assolutamente lasciare questo posto.”

 

Manon mi guarda, inarcando un sopracciglio.

 

“Lasciare questo posto? È impossibile. Ormai i padroni vi posseggono: appartenete a loro, corpo e anima.”

“Non appartengo a nessuno.”

 

Mi fissa e, dopo aver controllato che nessun altro arrivi dal corridoio, si tira su la manica del vestito per rivelare un marchio. È di colore violaceo intenso e raffigura un simbolo che non conosco.

 

“Che cos’è?”

“Il marchio arcano. I padroni hanno il diritto di vita e di morte su di voi.”

“Su di me? Io non ho questo…”

 

Attanagliata da un terribile dubbio, mi tiro su la manica e vedo che anch’io ho quel segno. Improvvisamente la mia gola è così stretta che riesco a malapena a deglutire.

 

“U… un attimo! Cos’è esattamente questo marchio?”

 

Quando sentiamo qualcuno avvicinarsi con passi pesanti nel corridoio, Manon si affretta a rispondermi:

 

“Significa che i padroni possono decidere di cancellarvi in qualsiasi momento, così come Almana.”

“Aspetta, ma… tutto questo è assurdo. Che accidenti significa? È… è magia, dunque?”

 

Lei non risponde e la porta si apre a rivelare la figura sgradevole di Almana.

 

“I padroni aspettano la colazione, incompetenti! Che cosa fate ancora qui?”

“Ci scusi, signora. È quasi pronta” dice Manon con un inchino.

 

Gli occhi della governante si posano su di me e sembra che ciò che vede non le piaccia.

Manon finisce di impilare il cibo su grandi vassoi e, proprio mentre sta per prenderli, Almana la ferma con un gesto della mano.

 

“No, se ne occuperà lei. Vediamo di cosa è capace una che viene dalla Scuola dell’Eccellenza.”

 

Deglutisco a fatica, come se la mia saliva si fosse trasformata in olio per motori.

 

“Forza. Prendete i vassoi” insiste Almana.

 

Con mano tremante, li afferro e li sollevo.

 

Accidenti, sono pesanti.

 

Di solito sono io a essere servita. Non sono una cameriera, sono una dirigente. Una donna d’affari assertiva e potente, non una portatrice di sudici vassoi.

 

“Seguitemi e sbrigatevi.”

 

Penso che la schiaffeggerò anch’io.

 

Con tutta la difficoltà del mondo, porto i vassoi attraverso i sontuosi corridoi del maniero. Accidenti, non ho mai visto nulla di tanto lussuoso. Versailles sembra niente accostata a una tale profusione di ricchezze.

Ci sono lampadari sul soffitto, dipinti di quello che deve essere il padrone su ogni parete e i miei passi ora sono attutiti da uno spesso tappeto rosso ricamato.

È tutto magnifico, ma la governante non sembra farci minimamente caso.

 

“Spero davvero che vi facciate perdonare” sibila.

 

Dato che non le rispondo, incalza:

 

“Un’incapace. Questo è ciò che sfornano alla Scuola dell’Eccellenza: incapaci. Me ne hanno messa una fra i piedi.”

 

Ho voglia di urlare che non ci sono mai stata lì, che non so nemmeno cosa sia questo posto sconosciuto e che mi piacerebbe riaddormentarmi per svegliarmi altrove. Vorrei che tutto questo uscisse dalla mia bocca e che finalmente Almana lo sentisse, ma credo di avere paura.

 

Sì, sono terrorizzata a causa del marchio. Non sto prendendo la cosa troppo sul serio, ma Manon sembrava davvero convinta di ciò che ha detto.

 

Se questo è un sogno, è il sogno più realistico che abbia mai fatto in vita mia.

 

Almana fa un respiro profondo, abbassa la testa, poi apre la porta per farmi entrare in quella che sembra essere una stanza privata.

A mia volta, chino il capo e mi avvicino al tavolo attorno al quale stanno parlando tre persone.

 

Si percepiscono l’eleganza e il lusso. Indossano vestiti bellissimi, che si potrebbero quasi associare a quelli del nostro Paese, con alcune piccole differenze. Lavoro nell’alta moda, quindi me ne accorgo subito: sono più arditi, più raffinati. Non avevo mai visto pezzi simili seppur dall’aspetto tanto semplice.

 

Ci sono una donna e due uomini, di cui uno più giovane. Sono tutti molto curati, degli aristocratici.

Non so a chi dare cosa. Ci sono uova, tè, caffè, succhi di frutta e altri alimenti che non riconosco affatto… e mi sento un’imbecille. Ho paura di sbagliare.

 

Parlano e capisco che cominciano a spazientirsi.

 

“Quando sarete sposato con Serena Tarisson, avremo un’influenza molto più forte sugli Arcani.”

 

Il ragazzo non sembra esserne entusiasta.

 

“Non voglio sposarla.”

“Non era una domanda.”

 

La donna continua.

 

“Suo fratello verrà domattina per discutere i preparativi del matrimonio. Non deludeteci.”

 

Lui si corruccia e incrocia le braccia.

 

“Non mi piace. E nemmeno io le piaccio.”

“Eugène Tarisson è una persona molto buona e sfrutteremo l’occasione per rafforzare le nostre alleanze, visto che sposerà vostra sorella. Abbiamo già pianificato tutto.”

“Non vi siete dimenticati di chiederle cosa ne pensa, vero?”

 

Con un’espressione esitante, appoggio il cibo sul tavolo e schivo ogni tipo di rimprovero, visto che non mi faccio notare. È la scelta migliore.

Una volta che i vassoi sono vuoti, giro i tacchi e mi dirigo verso l’uscita, quando sento un colpo secco. È il suono del bastone del più anziano dei due uomini che sbatte contro il pavimento di marmo bianco. Subito mi blocco, perché una fitta violenta lungo il braccio mi assale.

Sono immobile sulla soglia, tesa come una freccia, intorpidita dal dolore. Stringo i denti e mi tiro su la manica per osservare il marchio. Brilla come mille lucciole.

 

“Imbecille” sbraita la voce del patriarca alle mie spalle. “Avete dimenticato lo zucchero per le bevande calde. Dovrei andare a prendermelo da solo?”

 

Per l’amor di Dio, non è possibile. Allora è tutto vero ciò che è stato detto del marchio? Mi sta torturando e non so nemmeno come ci riesca!

È un calvario. L’indolenzimento si diffonde dal braccio a tutto il corpo, bruciandomi dall’interno, come se mi stessero versando acqua bollente nelle vene. Senza che io riesca a controllarle o ad accorgermene, una cortina di lacrime mi blocca la vista e scende lungo le mie guance.

 

Mi ha fatto una domanda. Devo rispondere?

Proprio mentre sto per replicare, lui allenta la presa con un altro colpo di bastone e io riprendo fiato.

Esco dalla stanza con il cuore che batte forte, poi mi appoggio alla porta per lasciarmi scivolare giù per qualche istante. L’esperienza che ho appena vissuto è stata straordinariamente violenta.

 

“Ve lo siete meritata” insiste Almana. “Dimenticare lo zucchero… un errore da dilettanti! Se fosse stato per me, vi avrei sbattuta nei sotterranei per una notte in isolamento. Siete fortunata che i padroni sono buoni.”

 

Buoni?

 

Devo andarmene da qui. Il prima possibile.

Torno in cucina e vedo il volto sconvolto di Manon.

 

“Oh, per Ascorde, Violette, mi dispiace. Ho… dimenticato lo zucchero. Pensavo che non sareste mai più tornata.”

 

Personalmente credo che Almana lo sapesse e mi abbia mandata comunque. Sembra non sfuggire nulla a quella donna, ma voleva che ricevessi una lezione perché mi odia da quando mi sono alzata stamattina. E forse anche da prima, in realtà.

 

“Io… ho provato il dolore del marchio.”

 

Manon si preme le mani sul viso.

 

“Sono mortificata. Perdonatemi.”

“Era dannatamente reale. Quindi non avete mentito! Che… che stregoneria è mai questa?”

 

Mi tiro su la manica, cercando di strofinare il simbolo per farlo sparire, in un gesto tanto vano quanto disperato. I fatti sono questi: sono bloccata qui, al servizio di una famiglia di pazzi.

 

“Voi… non capite. Ha funzionato! Mi ha fatto male davvero! Oh, cielo… non riesco a crederci.”

“Vi hanno punita. Mi dispiace.”

 

Sono combattuta tra il fascino e il terrore. Dovrò metabolizzare ciò che sta accadendo, anche se mi risulta ancora difficile da accettare.

 

“Me ne occupo io, d’accordo? Porto io lo zucchero.”

 

E mentre annuisco, Manon prende una ciotola ed esce dalla cucina.

Io resto qui, sotto shock.

 

Se ho capito bene non sono in Francia, la magia esiste e sono diventata una serva. Mi sento come se stessi perdendo la ragione. Eppure ricordo molto chiaramente chi sono e cosa ho fatto il giorno prima. Non ci capisco niente!

Quando Manon varca di nuovo la porta della cucina, sembra preoccupata.

 

“Beh, abbiamo del lavoro da fare. Venite?”

 

Mi acciglio, poi la seguo attraverso i corridoi del maniero.

Passando davanti a un’enorme finestra, ho tempo per osservare il luogo in cui ci troviamo ed è semplicemente stupendo. La Penisola, come la chiamano, sembra essere un insieme di isole paradisiache con un clima a metà tra il mediterraneo e il tropicale.

Ci sono ampie scogliere rocciose, foreste sui monti, accanto a spiagge e, un po’ più in basso, un’intera città fatta di pietre dai mille colori, che si incastrano tra loro per formare un raffinato stile architettonico.

 

È splendido ma, non appena mi fermo per riempirmi gli occhi di questo mondo sconosciuto, Manon mi tira delicatamente per la manica.

 

“Seguitemi. Dobbiamo davvero darci una mossa, altrimenti Almana ci ucciderà.”

 

È ironico che, nel mondo aziendale, quando si dice la stessa cosa del proprio manager non è letterale. Qui, invece, non ne sono del tutto sicura.

 

Continuiamo a camminare finché Manon mi introduce nell’ala della servitù, in cui ci sono le nostre camere da letto, come ho già potuto constatare, ma anche le nostre postazioni da lavoro a quanto pare.

 

“Secondo quanto mi ha detto Almana, dobbiamo prepararci all’arrivo di Eugène Tarisson.”

“Davvero? E cosa dobbiamo fare di preciso?”

 

Si ferma davanti a una porta e bussa tre volte prima di entrare.

 

“Gauthier? Questa è Violette, la nuova domestica.”

 

Gauthier è un uomo sulla cinquantina, con la pancia e i capelli diradati, seduto dietro una scrivania di legno lucido.

 

“Ok, ok” brontola, agitando la mano. “Cosa vi serve?”

“Circa dieci monete d’oro. Dobbiamo andare al mercato per prepararci all’arrivo di Eugène Tarisson.”

 

Gauthier alza le sopracciglia per lo stupore.

 

“Eugène Tarisson? Sta venendo qui? Beh… questa sì che è una novità!”

“Già. Incredibile, vero?”

 

Fruga in uno dei cassetti della sua scrivania e tira fuori un borsellino, che Manon prende, e subito dopo immagino scriva l’importo prestato in un libro contabile.

 

“Cosa volete comprare?”

“Dei bei frutti di mare. E dei fiori.”

“I Tarisson adorano gli allariani. Dovreste prenderne un po’.”

“Ottima idea, Gauthier. Grazie. Possiamo prendere un calesse?”

“Certo.”

 

Usciamo dall’ufficio e, all’improvviso, Manon sembra felice. Trasuda gioia mentre lasciamo il maniero per dirigerci verso le scuderie.

Non la perdo mai di vista, perché so che la mia sopravvivenza in questo luogo dipende solo da lei.

 

“Vengo con voi?” chiedo intanto che lei sella i cavalli.

 

Non ho mai fatto equitazione.

Ah.

 

Manon aggancia il calesse a tutto il resto e mi invita a salire accanto a lei, sul sedile del passeggero. Mi sento come un cocchiere del XIX secolo.

 

“Yah!” esclama, facendo schioccare la frusta contro il fianco dei cavalli.

 

Partiamo al trotto.

Nervosamente, mi reggo forte per non cadere, senza distogliere lo sguardo dalla strada.

 

“Allora, ehm… questo Eugene… chi è esattamente?”

 

Manon scoppia a ridere senza lasciare le briglie.

 

“Mi prendete in giro, vero?”

“Affatto. Mi dispiace, ma…”

“Finirò con il credere che voi non abbiate frequentato la Scuola dell’Eccellenza” dice divertita.

E poi quasi a sé stessa ripete: “Chi è Eugène Tarisson… che buffo!”

 

Mi inumidisco le labbra fissandola.

 

“Io… in realtà dico sul serio.”

 

Si gira verso di me e distoglie per un attimo lo sguardo dalla strada.

 

“Aspettate… dite davvero? Eugène Tarisson? Non vi dice nulla?”

 

Scuoto la testa e, dal suo sguardo, il suo stupore è massimo.

 

“Beh… è l’erede della famiglia Tarisson.”

 

Il problema è che non so nulla di questa famiglia.

 

Intanto che proseguiamo lungo il sentiero accidentato che porta alla città e al suo trambusto udibile sin da qui, mi arrovello per pensare a come affrontare l’argomento con lei.

Fortunatamente, non ne ho bisogno, perché Manon comincia a parlarmene.

 

“È uno dei più grandi maghi della Penisola. È giovane, bello, intelligente e terribilmente potente. Sta facendo degli esperimenti piuttosto strani con gli Arcani.”

“Che cosa sono gli… Arcani?”

“Si tratta dell’energia che i maghi usano per creare i loro incantesimi e lui è praticamente un dio in materia! Sembra che sia riuscito a creare dei portali per cambiare dimensione, ma queste sono solo voci.”

 

Alzo la testa.

 

Portali per altre dimensioni?! E se… se potesse risolvere il mio problema?

 

“È possibile? Voglio dire, altre persone sono capaci di farlo?”

 

Ancora una volta comincia a ridere.

 

“Per Ascorde, no! È lui il genio. È eccezionalmente dotato.”

 

Allora è con lui che devo parlare, costi quel che costi.

 

Se però è dello stesso status sociale dei miei “padroni”, potrei essere nei guai.

 

“Ci è permesso parlare con lui?”

“Ovviamente no. Che domande fate… siete davvero strana! Avete studiato a Paletroi, vero?”

 

Annuisco. Brutta bugia, ma non ho altra scelta.

 

“Non conoscete ancora Port-aux-Pièces, vero? Vedrete, vi piacerà.”

 

Ha ragione, la città è magnifica. Ci sono tele bellissime e colorate che volteggiano al sole. Il è paesaggio eccezionale. Non ho mai visto niente di simile.

La gente, poi, è vestita in modo così… bizzarro, tra il moderno e il tradizionale. Sia gli uomini che le donne indossano bei cappelli e, il più delle volte, abiti eleganti.

La cosa più assurda è che, anche se siamo in città, la tenuta della famiglia Bohar è ancora visibile in cima alla montagna. Sembra dominare la Penisola con la sua imponenza.

 

“Com’è Paletroi?” mi chiede Manon mentre ci fermiamo davanti a una bancarella.

“Oh, beh… è… è bella, sì. Un po’ come qui.”

“Ho sempre sognato di andare sull’isola di fronte per vedere questa città. Siete fortunata!” sorride.

 

Aspetta… è l’isola di fronte? Si vede da qui! Devono essere al massimo due ore di navigazione!

Poi mi ricordo di alcune vecchie lezioni di storia sul Medioevo e sulle persone che a quei tempi non viaggiavano molto. Improvvisamente mi rendo conto che, dopotutto, non so nemmeno in quale epoca ci troviamo.

A prima vista, direi che stiamo parlando del nostro XVIII secolo.

 

Iniziamo il nostro giro con un fioraio e, sebbene riconosca alcune piante, la maggior parte di esse mi è estranea.

 

“Tre mazzi di allariani, per favore” chiede Manon.

 

Immediatamente il fioraio le porge i fiori, che mi travolgono con la loro bellezza. Sono viola e scintillanti, quasi quanto il marchio sul mio braccio, ma hanno anche uno strano aspetto etereo, come se non appartenessero del tutto alla nostra realtà, ma si degnassero di onorarci con la loro presenza.

 

“Sono bellissimi” dico uscendo dal negozio.

“Sì, vero? I Tarisson sono i migliori maghi. Ha fatto bene Gauthier a parlarci di questi fiori. Senza dubbio piaceranno a Eugène.”

 

Mi sento come una bambina attratta da una farfalla perché, anche se sono ancora sotto shock per essermi risvegliata in un corpo che non mi appartiene e per tutto quello che sto passando, sono al centro di uno spettacolo folle che nessun altro a Parigi avrebbe la possibilità di vedere. Per quanto mi sforzi di capire dove mi trovo, comincio a pensare che non lo saprò mai.

 

“E ditemi, Manon, avete mai pensato di scappare?” le chiedo mentre risalgo sul calesse per tornare alla tenuta.

 

Rimane per qualche istante a bocca aperta, profondamente scioccata dalla mia domanda.

 

“Scappare? Insomma, abbiamo uno buono stipendio.”

 

Ah, quindi veniamo pagate! Questa sì che è una bella notizia.

 

“E poi” continua “tutti vogliono lavorare per la famiglia Bohar. È un grande onore, sapete? Si tratta della famiglia più ricca del mondo. In fondo… chi vorrebbe lasciare la loro tenuta?”

 

Io. E con immenso piacere.

 

“Questo è certo. Chi non sogna di essere marchiato da una specie di… strana stregoneria e di essere trattato come una nullità?”

“Non avete nessuno a cui mandare i soldi? Io spedisco monete d’oro alla mia famiglia nel continente. Senza di me, non potrebbero sopravvivere. Hanno sacrificato tutto perché io potessi venire a lavorare nella Penisola.”

 

Sto lentamente mettendo insieme gli elementi di cui sono a conoscenza, ma non credo che sarà facile abituarsi a tutto questo.

Dovrò parlare con questo Eugène Tarisson a qualsiasi costo perché, se è una specie di “magia” ciò che in qualche modo mi ha portata qui, allora significa che può essere contrastata da un’altra forma di magia. E se questo tizio può creare… portali, ben venga.

 

Appena tornate, dobbiamo iniziare a fare i preparativi per l’arrivo del giovane Tarisson.

Non prendo nessuna iniziativa, visto che sono troppo preoccupata di quello che Almana potrebbe farmi. Mi limito a seguire le istruzioni di Manon, che non sembra avere l’abitudine di dare ordini.

 

Santo cielo, di solito sono io che comando. Tutti mi obbediscono, invece qui…

 

Mi ritrovo a pulire vetri, spazzolare tappeti, fare la manutenzione delle finestre e incerare tavoli.

 

Voglio tornare a casa! Rivoglio la MIA vita!

 

E all’improvviso, intorno alle 11:00, tutto ha inizio. I domestici al completo sono pronti – saremo all’incirca una trentina – per l’accoglienza principesca riservata a Eugène Tarisson.

Sto alla finestra, curiosa di vederlo arrivare.

 

“È lui” mi dice Manon, indicandolo.

 

Scende dalla carrozza con eleganza, dopo che un domestico gli ha aperto la porta.

 

Eugène Tarisson è certamente un aristocratico e glielo si legge in faccia. Camicia bianca aderente, capelli castani di media lunghezza tirati all’indietro, con qualche ciocca ribelle che gli cade delicatamente sulla fronte.

Porta una spada e un grimorio legati alla cintura. Devo riconoscerlo: ha un bell’aspetto e un buon gusto nel vestire. Anche i suoi stivali neri sono bellissimi.

 

Manon mi tira per la manica e mi conduce in cucina, mentre l’uomo si dirige verso la porta d’ingresso.

 

Cavolo, voglio parlargli.

 

“Che ci facciamo qui?” brontolo.

“Prepariamo il tè. A Eugène Tarisson piacciono le radici di allariani in infusione” sorride mentre me ne mostra la preparazione.

“Ottimo. E allora?”

“E allora? I padroni non sono ancora pronti a riceverlo. Almana mi ha detto che il loro ultimo incontro si è trascinato all’infinito. Dovremo prendere tempo e, per farlo, dovremo farlo sentire a suo agio.”

 

Uff. Che confusione.

 

“Gli porterò il tè, allora” suggerisco.

“Voi? Ma… Almana…”

“Ad Almana non dispiacerebbe che una diplomata alla Scuola dell’Eccellenza prendesse l’iniziativa, vero?”

 

Inclinando la testa da un lato, Manon si morde il labbro inferiore prima di annuire.

 

“Avete ragione. Ecco, prendete il vassoio e portatelo nel terzo salotto.”

“Bene.”

“Aspettate, prima di andare! Alcune raccomandazioni: non guardatelo negli occhi, servitelo con riverenza e non parlategli, d’accordo? Deve essere trattato con ancora più riguardo di un principe, perché la sua famiglia è molto importante.”

“Chi ha frequentato la Scuola dell’Eccellenza, voi o io?”

 

Manon si scusa con un inchino.

 

“Avete ragione. È solo che… i nostri padroni ci tengono che tutto sia perfetto. La famiglia Bohar e la famiglia Tarisson sono state a lungo ai ferri corti… questa alleanza tra loro è fondamentale per la Penisola.”

 

Forza. Questa è la mia occasione.

 

Cercherò di avvicinarmi a lui e di parlarci.

Ho il vassoio in mano e sto camminando per i corridoi alla ricerca della terza sala.

Quando finalmente trovo la stanza giusta, l’uscio si apre a rivelare la figura snella e muscolosa di Tarisson. La porta colpisce me e il vassoio, rovesciando la tazza di tè il cui contenuto va a finire quasi interamente sulla camicia di Eugène.

 

Incontro i suoi occhi e sembra mortificato.

 

Cielo, i suoi occhi. Sono viola! Com’è possibile?!

 

“Sono… sono spiacente, io…”

 

È bagnato fradicio.

Mi tornano in mente le parole di Manon. Tutto deve essere perfetto. Questa alleanza è fondamentale per la Penisola.

E io ho appena rovinato tutto a causa di una tazza di tè.

 

“Chi diavolo siete?” chiede con voce profonda.

 

Nello stesso momento, senza dubbio allertata dallo schianto, Almana irrompe nel corridoio.

 

“Che succede?”

 

Bene. Sono morta.

 

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