Rebel Hearts Rise - Webnovel - Narae

Rebel Hearts Rise

Liliana Marchesi - New Adult

Nel mondo dei Défaut, ogni cittadino è indirizzato dal perfetto Algoritmo di Berg verso il proprio ruolo nella società. Lìen, però, riceve un’assegnazione che non riflette i suoi sogni. Quando sale su un convoglio per salvare la migliore amica, viene … altro


29 Episodi

Episodio 1

 

Lìen

 

Da piccola mi sono sempre sentita strana, diversa, fuori luogo, come il frutto caduto da un albero e finito per errore in un prato di fili d’erba bruciati. La mia presenza era ingombrante e scomoda. Era un qualcosa a cui bisognava porre rimedio. E fu così che, senza che me ne rendessi conto, la mia buccia dai colori vividi e intensi cominciò a perdere lucentezza, si fece dura all’interno e si assottigliò fino a confondersi con ciò che avevo intorno.

 

In breve, mi trasformai in un filo d’erba bruciato.

 

***

 

“Alzati dormigliona! Non vorrai fare tardi il giorno dello Smistamento?” La voce della mia compagna di stanza mi raggiunge nel fantastico mondo onirico in cui resterei volentieri un altro po’.

 

Mugugno qualcosa di incomprensibile e mi giro, infilando la testa sotto le coperte per sfuggire alla luce che Routh, tirando le tende, sta invitando a entrare.

 

“Forza, Lì! Ti devi alzare. Non ho intenzione di essere rinviata al prossimo esame.”

“Perché hai così fretta di essere assegnata?” bofonchio dal mio caldo nascondiglio.

“Perché sono stanca di fare lavori socialmente utili e voglio iniziare a costruire il mio futuro. E mi stupisce che tu non sia già vestita e sulla porta, francamente. Oppure tutti questi ritagli di riviste fissati sulla tua bacheca sono solo carta straccia?”

 

Dovevo aspettarmelo questo colpo basso. Routh è così: schietta e diretta. Se ti deve mandare a quel paese ti ci spedisce in un attimo.

 

Sbuffo da sotto il lenzuolo, rassegnata al fatto di dovermi alzare. Non era mia intenzione saltare lo Smistamento, ma diciamo che non ne avrei fatto una tragedia se avessi dovuto aspettare altri sei mesi. In questo modo l’Algoritmo di Berg avrebbe avuto più tempo per studiarmi e le probabilità di ricevere un’Assegnazione in linea con le mie passioni, le mie doti e le mie aspettative sarebbero aumentate. In fondo, l’importante è presentarsi nell’arco temporale dei diciannove anni.

 

“Ecco, brava. Esci da quel groviglio e vai a darti una lavata. Io ti preparo i vestiti” mi ordina Routh, già diretta verso il mio armadio.

 

Con la lentezza di un condannato a morte, l’assecondo e mi dirigo nel nostro piccolo bagno per farmi una doccia veloce. Anzi, meglio velocissima.

 

Nemmeno il getto d’acqua riesce a coprire le sue imprecazioni nei confronti dei miei gusti stilistici.

 

“Lì, ma porca miseria! Capisco che il tuo interesse verte verso gli arredi, ma ti prego… fingi di essere un qualsiasi mobile e comprati della tappezzeria decente.”

“I miei vestiti non hanno nulla che non va. Sei tu che punti troppo in alto” ribatto, ricordandole che non tutti vivono con l’ossessione per la moda come lei che, ne sono certa, sta riversando su di me l’ansia che la giornata di oggi ha generato nel suo stomaco.

 

Esco dal bagno avvolta nel mio telo in microfibra di colore verde, perfettamente intonato a gran parte dei ritagli appesi alla mia bacheca. Sì, lo ammetto, vorrei fare l’interior designer, ma specializzata in arredi che prevedano la presenza di legno e piante, molte piante. Credo diano un tocco di serenità e, qui a Défaut83, così come in qualsiasi altro Distretto, la serenità dei cittadini è l’obiettivo principale.

 

“Indossa questi” esordisce Routh porgendomi un paio di jeans slavati e una camicetta blu navy, “starebbero bene con un paio di décolleté ma… nella tua scarpiera ci sono solo sneakers e, per tua sfortuna, non portiamo lo stesso numero. Altrimenti ti avrei infilato io stessa il tacco dieci color argento.”

 

Non riesco a trattenermi e mi lascio sfuggire una risata.

 

“Non ti azzardare a ridere! La moda è una cosa seria. È una forma d’arte, è un mezzo di espressione e…”

“Lo so, Routh, lo so. Me lo hai ripetuto mille volte. È solo che…”

“Solo che?”

“Se mi infilassi un paio di scarpe con un tacco così vertiginoso cadrei dopo soli due passi. E la cosa sarebbe parecchio esilarante, oltre che dolorosa.”

“Sciocchezze. Sottovaluti il tuo portamento innato.”

“Sì, certo.”

“Riprenderemo questa conversazione in un secondo momento. Adesso, per favore, infilati questi vestiti e raggiungiamo l’Auditorium.” Più che una richiesta, la sua risuona come una supplica. E per quanto io sia tentata di non presentarmi, non posso lasciare sola la mia migliore amica. Condividiamo l’alloggio qui al Campus da quando, all’età di quattordici anni, abbiamo iniziato a renderci utili alla comunità. E svolgendo i lavori più umili siamo cresciute insieme. Sono stati cinque anni difficili per entrambe, soprattutto per via del distacco con la famiglia di origine, ma se non ci fosse stata lei, dopo ciò che è accaduto ai miei genitori, questi anni sarebbero stati orribili. Per questo sento di doverle molto.

 

Routh fa un ultimo salto in bagno per sistemarsi i capelli biondi, raccogliendoli in una coda alta tiratissima, che mette in risalto i pendenti sbrilluccicosi che porta appesi ai lobi.

 

Una volta pronte entrambe, lasciamo il nostro alloggio di sessanta metri quadri e ci dirigiamo all’Auditorium in centro, dove la decisione di un algoritmo cambierà radicalmente le nostre vite.

 

***

 

Una volta arrivate, entriamo nel grande edificio di forma circolare che viene utilizzato esclusivamente per le giornate dello Smistamento e per le riunioni straordinarie degli Indirizzati. A quelle non abbiamo mai potuto prendere parte, perché è solo dopo essere stati assegnati alla mansione definitiva che si diventa Indirizzati, per ora siamo solo degli Iniziati. E non avendo mai partecipato alla giornata dello Smistamento, in pratica questa è la prima volta che mettiamo piede nell’Auditorium.

 

Da aspirante interior designer, l’occhio mi cade immediatamente sull’assenza di qualsiasi fronzolo. Di fatto, l’ambiente appare disadorno, impersonale, oserei dire asettico al pari del centro medico che abbiamo qui a Défaut83, dove ho avuto la sfortuna di finire per un’intossicazione alimentare un paio di anni fa.

 

In pratica ci sono centinaia di sedioline pieghevoli disposte su file sfalsate, a mo’ di anfiteatro, e di fronte il palco sul quale è già stata preparata l’asta che sorregge il microfono. Tutto qui. Non c’è altro oltre alle pareti grigie, le casse della filodiffusione e delle lampade dallo stile industriale appese a distanza regolare sopra le nostre teste.

 

“Vieni” mi dice Routh prendendomi per un braccio, “mettiamoci lassù in cima.”

 

Mentre ci inerpichiamo sugli spalti per raggiungere l’ultima fila di seggioline, noto Dillon, un nostro caro amico. Lui si sbraccia per salutarci da lontano, indicando i posti liberi accanto a sé. Sto per ricambiare il saluto e deviare il nostro percorso, quando Routh, accelerando il passo, decide di piazzarsi a debita distanza da lui. Si accaparra una seggiolina, abbassa la seduta di quella accanto, così che io possa accomodarmi, e fa un cenno di saluto con il mento a Dillon.

 

“Che ti prende?” indago mettendomi a sedere. Sono sempre andati d’amore e d’accordo questi due, quindi non mi spiego proprio questo suo atteggiamento.

“Assolutamente nulla. Cosa dovrebbe essere successo?” replica lei con stizza e dissimulando un certo disagio risistemandosi un ciuffo biondo dietro l’orecchio.

“In realtà ti ho chiesto cos’hai, non cosa è successo, ma la tua risposta, a questo punto, mi fa supporre che sia accaduto qualcosa… con Dillon.”

 

Le guance di Routh s’imporporano all’improvviso, diventando dello stesso colore della sua borsetta di vernice, decisamente eccessiva per l’occasione. Io mi sono giusto portata un pacchetto di fazzoletti di carta nella tasca dei jeans.

 

“Possiamo parlarne in un altro momento? Adesso sono già piuttosto nervosa per lo Smistamento” mi implora, e io non posso che acconsentire.

 

Smetto di fissarla, perché so quanto la renda nervosa, e volgo la mia attenzione verso il palco, non prima di aver lanciato un’occhiata a Dillon. Povero… non so cosa sia successo fra loro, ma il suo sguardo amareggiato mi spezza il cuore.

 

Il vociare degli altri Iniziati intorno a noi si quieta non appena qualcuno sale sul palco.

 

I passi del COO, il Coordinatore di Distretto che si assicura che a Défaut83 tutto fili liscio secondo le direttive del CEO, ovvero il Coordinatore Esecutivo Onnipotente, che qui non si è mai fatto vedere, risuonano nella filodiffusione captati dal microfono. Somigliano al battito di un cuore dal ritmo regolare, ma deciso.

 

Due colpetti al microfono con le dita, e il COO inizia il suo monologo.

 

“Benvenuti, cari Iniziati” il sorriso che ci rivolge è ampio e più bianco della camicia che indossa, in netto contrasto con la capigliatura nera e folta, “so che oggi molti di voi si aspettano un’Assegnazione, ma non andrà così” la sua dichiarazione suscita un leggero brusio di malcontento in platea.

 

Il COO solleva una mano per invitarci ad ascoltare il resto.

 

“Domani scoprirete quale sarà il futuro che l’Algoritmo di Berg indicherà per ognuno di voi, ma oggi, dopo aver affrontato l’ultimo test, desideriamo offrirvi la possibilità di chiudere questo capitolo della vostra vita con una piccola festa che abbiamo organizzato per voi.”

 

Un altro brusio si solleva dagli spalti, ma questa volta è di gioia.

 

“Una festa? Questa sì che è una bella sorpresa!” esclama Routh.

“Ma come? Non eri tu quella impaziente di scoprire il proprio futuro?” la punzecchio.

“Lo sono ancora, ma qualche ora in più di attesa non è poi così grave, soprattutto se mi darà modo di sfoggiare uno dei miei outfit da party” ribatte lei, facendomi l’occhiolino.

“Mi fa piacere che apprezzate l’iniziativa” riprende la parola il COO, mettendo fine ai borbottii fra Iniziati, “ora, però, vi invito a recarvi nel corridoio oltre quella porta, dove troverete diverse stanze in cui sostenere l’ultimo test. E ricordatevi che per l’Algoritmo siete un libro aperto, non serve mentire. La nostra società non punta alla perfezione, ma al miglioramento.”

 

L’applauso scrosciante che esplode dopo queste sue ultime frasi a effetto mi sorprende come un tuono, mentre ero rimasta imbambolata a fissare la porta che il COO ci ha indicato.

 

Mi unisco agli altri battendo le mani fino a farmele dolere.

 

Poi, seguendo la fila ordinata che si crea, mi preparo all’ultimo test, quello che decreterà il mio futuro.

 

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