One Bed Only - Webnovel - Narae

One Bed Only

Cristina Foresta - Contemporary Romance

Perrie è l’assistente perfetta: efficiente, ironica e pronta a sopportare qualsiasi cosa. Tranne il suo capo, Spencer Penderell: brillante, arrogante e allergico alle emozioni. Quando una bufera di neve li costringe a condividere un solo letto, la distanza tra odio … altro


30 Episodi

Episodio 1

 

Perrie

 

 

Non mi piacciono i biondi.

Ma non ho particolari problemi con gli atri uomini, questo posso garantirlo.

 

La mia difficoltà con gli uomini dai capelli dorati nasce dalle troppe aspettative nei loro confronti.

Ti aspetti sempre un tipo come Chris Evans o Hemsworth, Jacob Elordi o Damian Hardung – sì, Maxton Hall mi ha fregata – e poi ti ritrovi a scontrarti con la realtà: ovvero con la copia di Mark Zuckerberg, ma senza lo stesso conto in banca.

 

A volte ti ci affezioni pure, nella speranza di un miglioramento che, però, non avviene mai. Avrà sempre i postumi di un’acne non curata, il naso troppo grande rispetto alla faccia, gli occhi piccoli e un taglio da uno che ha fatto parte della banda al liceo e non è ancora disposto a lasciar andare quella parte del passato.

Ci sono le eccezioni, ne sono consapevole, ma la maggior parte delle volte sono soltanto speranze mal riposte.

 

Il sospiro che arriva dal corridoio – proveniente dalla quota femminile nei paraggi – mi fa capire che il biondo numero uno della mia vita è in arrivo.

Perché, devo ammetterlo, Spencer Penderell è un notevole pezzo di… biondo.

Anche se averci a che fare ha cancellato ogni speranza che possa farmi ricredere sulla categoria.

 

Le mie colleghe gemono al suo passaggio e anch’io come ogni volta in cui devo averci a che fare, ma il senso per cui lo faccio è completamente diverso.

Tutte le donne della Avenstone Consulting sono affascinate dai suoi occhi verdi e dall’aspetto inaccessibile che risveglia in loro il lato da crocerossine che fa credere a ognuna di essere quella giusta, l’unica in grado di sciogliere il suo animo freddo.

 

Per loro è facile, perché non ci lavorano a stretto contatto.

Per quanto riguarda me, invece?

Io sono il prolungamento della sua agenda, o dell’anima che non ha. E quindi… no, grazie.

 

Spencer arriva davanti alla mia scrivania dopo l’incontro con un nuovo cliente e io espiro rumorosamente davanti alla pagina internet aperta sulla compagnia aerea con cui dovrei viaggiare per le mie agognate vacanze.

Ancora una volta dovrò attendere per delineare quest’ultimo dettaglio.

 

“È nostro?” domando con un sopracciglio alzato, anche se so già quale sarà la risposta.

 

Vuoi far crescere la tua azienda, espanderti all’estero o tamponare delle perdite nel bilancio? La Avenstone fa al caso tuo, e Spencer Penderell è il miglior Senior Consultant della città. Anche per questo pare essere il principale candidato che in futuro subentrerà a uno dei soci più anziani.

 

“È nostro” risponde con un cenno del capo, allentando un po’ la cravatta.

 

Quando lavora in ufficio, nonostante il rigore di cui il suo corpo è formato insieme all’acqua, si lascia andare persino lui.

Maniche arrotolate, occhiali, cravatta morbida e pallina antistress che manipola per concentrarsi. Gli unici segni che mi ricordano che è umano pure lui, anche se non sembra.

 

“Ti aspetto tra dieci minuti in ufficio, dobbiamo rivedere la mia agenda per i prossimi mesi.”

 

Attende un mio cenno d’assenso, come se avessi problemi di comprensione, ma ci sono abituata. Questo non vuol dire che ancora adesso, dopo due anni e mezzo, non mi dia fastidio.

 

“Sì, capo.”

 

Accompagno la risposta con il gesto militare, il che lo irrita perché detesta che la sua autorità venga messa in dubbio con dell’ironia spiccia, ma vengo graziata; in fondo, lo sopporto e sono brava nel mio lavoro. La migliore assistente che abbia mai avuto.

Me l’ha mai detto? Ovviamente no, si staccherebbe un braccio a morsi pur di non ammetterlo, ma il fatto che io sia riuscita a mantenere il mio posto per così tanto tempo è l’indice più palese della mia competenza, e va bene così.

 

La gente si domanda perché, nonostante il mio lavoro sia stressante, non mi licenzio. Le risposte sono molteplici: lo stipendio è da capogiro – un evidente incentivo delle risorse umane affinché non mi licenzi – lavorare per Spencer mi stimola e, infine, sono masochista, e la precedente risposta ne è la prova lampante.

Un motivo aggiuntivo è che mi piace viaggiare e, per farlo, ho bisogno di soldi. La prossima destinazione sarà Londra tra un paio di mesi: mia cugina Becca ha un biglietto in più per i Silver Atlas – la mia band preferita – che si esibiranno per l’ultima data del loro tour mondiale.

 

Ho provato a prendere i biglietti per una qualsiasi data americana, ma sono andati esauriti in meno di dieci minuti senza che me ne fossi aggiudicata uno. Si dà il caso però che la sua amica è in procinto di partorire e non può prendere un volo da Monaco di Baviera, per questo sono subentrata io.

Grazie, Ingrid, per aver deciso di procreare e aver azzeccato le tempistiche!

 

Sospiro sognante.

L’ultima settimana di novembre a Londra, il mio gruppo del cuore, le luci e l’atmosfera natalizia per la città, cosa chiedere di meglio?

Di sicuro non la persona che si sta avvicinando alla mia postazione.

 

“Delia, che piacere.”

 

Come la devitalizzazione di un dente, all’incirca.

Non so quale sia il suo superpotere, ma vista la prontezza con cui si è presentata qui immagino abbia una talpa in ufficio. O delle telecamere, ma preferisco togliere quest’opzione di mezzo perché sarebbe ancora più spaventosa di un aggancio interno.

 

Delia, CruDelia per i non amici e tutto il nostro team, lavora per lo studio di avvocati che sta al ventunesimo piano e vanta il titolo di ex di Spencer per un numero di volte che varia da tre a indefinito.

Al momento non sono tornati insieme, ne sarei al corrente perché altrimenti le comprerei un mazzo di fiori a settimana con un biglietto di scuse scritto da me medesima per il loro mancato appuntamento, ma è da un po’ che la rottura tra loro si protrae, e lui non sembra intenzionato a tornare sui suoi passi. Lei però non sembra capirlo e si presenta a ogni occasione nella speranza di fargli cambiare idea.

Come ora.

 

“Perrie.” L’ombra di un sorriso di circostanza le dipinge le labbra per un secondo, giusto per non passare troppo per maleducata, ma la sua attenzione si concentra sulla porta chiusa alla sua destra. “Sono venuta per vedere Spencer.”

 

Chi l’avrebbe mai detto.

 

“E io che pensavo fossi qui per prendere un caffè con me.” Le mostro cos’è un vero sorriso di circostanza, ma Delia è impossibilitata a cogliere ogni tipo di ironia, quindi scaccia la mia frase scuotendo la testa con un’espressione di sdegno dipinta in faccia. “Comunque è occupato e non vuole essere disturbato.”

“Solo se non si tratta di me.” Si volta senza aspettare una risposta e bussa per annunciarsi prima di entrare.

 

Se fosse stata un’altra persona l’avrei fermata con risolutezza ancor prima di posare le nocche sul legno elegante, ma in fondo nemmeno io sono una santa e mi diverto a godermi l’ennesimo scambio imbarazzante tra loro con un conseguente due di picche che si prenderà a breve.

Un altro motivo da aggiungere a quelli per cui amo il mio lavoro.

E poi ho altro a cui pensare, ho soltanto otto minuti per confermare il mio volo in Economy plus da Chicago a Heathrow.

Vacanze, arrivo!

 

***

 

“Perché l’hai fatta entrare?”

 

Varco la porta dell’ufficio senza bussare – dato che i modi spicci con Spencer sono i più efficaci – e lui mi fissa con uno sguardo truce che dovrebbe intimidirmi nel suo immaginario, peccato che sia l’occhiata standard che rivolge a tutti e ormai non sortisce più alcun effetto, almeno su di me.

 

“Sono pagata per essere la tua segreteria, non per impedire all’amore di trionfare.” Mi guarda storto, mentre prendo posto di fronte a lui. “E in più non mi hai detto di non farla entrare.”

“Era sottinteso. E, essendo la mia segretaria, il tuo compito è proprio impedire che le persone non mi disturbino. Soprattutto senza appuntamento.”

“Quindi la inserisco nella lista delle persone indesiderate?” Non uso spesso l’umorismo con lui, ma mi piace quando mi lascia modo di farlo, come oggi.

“Almeno nelle prime tre posizioni.”

“Segno.” Agito lo stilo con cui scrivo sul tablet per mostrare le mie buone intenzioni, anche se è tutta una finta.

“Torniamo alle cose importanti…”

 

Quanto vorrei che Delia potesse sentire questa frase, forse si renderebbe conto di non far parte dell’insieme!

 

“Ho tutto pronto” raddrizzo la schiena e metto da parte l’ironia.

 

Se c’è una cosa che ho imparato è che, quando Spencer Penderell entra in modalità lavoro, non si scherza.

 

“Abbiamo acquisito Hale, quindi dovrò analizzare le sedi di San Francisco, Parigi e Londra.”

“Ottimo, mi faccio mandare i dati dal loro referente.”

 

Lo metto nella lista delle cose da fare con la massima priorità, perché vorrà ogni cosa prima di subito.

 

“Perfetto” annuisce, lo sguardo assente perso nel vuoto.

 

Non mi serve osservarlo, conosco ogni sua abitudine, tutto è utile per cercare di anticiparlo e ottimizzare il lavoro, rendendo al minimo il margine di errore.

 

“Ma ho bisogno che tu mi prenoti anche i voli.”

 

Stacco di scatto gli occhi dallo schermo per fissarlo.

 

“Per?”

 

Mi guarda come se fossi scema.

 

“San Francisco, Parigi e Londra” scandisce con insofferenza.

“Hai intenzione di visitarli di persona?” Sono stupita.

Annuisce. “È un cliente troppo grosso, devo mostrarmi coinvolto in modo attivo. Senza contare che è stata una delle clausole che l’hanno spinto ad accettare.”

 

Senza darmi modo di ribattere, riprende a parlare. Ha la mente in subbuglio, lo vedo dalla frenesia nei suoi occhi e dal modo in cui continua a sistemarsi i polsini della camicia.

 

“San Francisco lo fissi tra tre settimane, mentre Parigi e Londra – in quest’ordine – le inseriamo nella stessa settimana…” controlla il calendario, che sto consultando pure io. I buchi non sono molti, ma ci sono più possibilità tra cui scegliere. Picchietta sul monitor del suo iMac. “… e sarà l’ultima di novembre.”

 

Mi irrigidisco e, quando vede che non appunto nulla, si prende la briga di fissarmi con uno sguardo interrogativo.

 

“Non devo venire con te, vero?”

 

Non lo seguo sempre nelle sue trasferte, ma qualche volta è capitato, e non è stato per nulla divertente. Peggio che in ufficio, a dire il vero.

Aggrotta le sopracciglia, confuso, e forse pentito di avermi assunta, dato che oggi non sto dando il meglio di me.

 

“No, perché?”

“Forse non te lo ricordi, ma ti ho chiesto le vacanze in quel periodo… e le hai approvate” mi affretto ad aggiungere, prima che provi solo ad azzardarsi a revocarmele.

 

Controlla di nuovo la sua agenda e vede che ho segnato la mia assenza proprio in quella settimana.

Fa una smorfia contrariata alzando la parte superiore della bocca e si ravviva i capelli con fare nervoso.

 

“E lo sono tuttora. Non ho bisogno che tu ci sia, è un viaggio in cui non necessito di supporto. So arrangiarmi da solo.”

 

Detto da un uomo che è entrato da un anno nei trenta è emozionante, anche se dovrebbe dimostrarmi la veridicità di una simile affermazione.

Annuisco, le spalle che si distendono involontariamente.

 

“Saremo a Londra nello stesso periodo!” Alzo le mani in un finto festeggiamento che non lo coinvolge, ma non avevo dubbi a riguardo.

“Prenota subito il volo, i transfer e gli hotel.” Torno la segretaria efficiente in un battibaleno e prendo nota di tutto quello che ha da dirmi, dato che è ripartito a raffica. “A Parigi riserva una stanza a Le Bristol, mentre a Londra va bene il Savoy, chiedi la stanza con vista Tamigi, per favore.”

 

Annoto ogni dettaglio nell’app apposita, un vero aiuto per tenere traccia dell’immensa mole di lavoro che mi compete. Non posso permettermi di dimenticare anche la cosa più insignificante, non con Spencer come capo.

 

“Come se l’avessi già fatto. Altro?”

 

Ci riflette un po’, ma poi torna a concentrarsi sui documenti presenti sul suo computer e mi liquida con una mano.

 

“Va’ pure.”

 

Sì, padrone.

 

Esco dal suo ufficio senza aggiungere altro, con le idee in fermento per capire a cosa dare la precedenza.

Fisso il mio iMac verde menta e, quando muovo il mouse, lo schermo si accende sull’acquisto fatto poco prima dei miei biglietti aerei. Il viaggio è diventato reale e il cuore mi esplode di gioia. Mi ricorda perché devo tollerare ogni giorno la progenie del demonio.

Approfitto della pagina già aperta per dedicarmi nell’immediato all’acquisto dei voli per Spencer, non prima di sloggarmi dal mio account personale per passare a quello aziendale, ma vengo distratta da Emma, una legale della nostra azienda.

 

“Ti va un caffè?”

Controllo l’ora e mi mordo il labbro. “Non è nemmeno metà mattina.”

 

Si siede sull’angolo della scrivania e sposta i capelli rossi su una spalla.

 

“Lavori per uno stronzo, sei autorizzata a fare una pausa ogni volta che puoi.”

“Sai che c’è?” clicco sullo spazio dell’username e l’inserimento automatico mi agevola, tanto da non prestare particolare attenzione all’operazione. Prendo la borsa e mi alzo. “Ho proprio voglia di un Tall Caramel Macchiato.”

“Così ti voglio!” batte una mano sul legno e si alza, entusiasta.

“Come sai che Spencer è uno stronzo?” sussurro, per evitare che il mio capo mi senta, mentre premo invio per dare l’input al sito e ritrovarlo a disposizione per le mie ricerche quando tornerò da Starbucks. “Ci sei uscita pure tu?”

 

Il mio stupore è sincero.

 

“Ti prego!” Emma mi prende sottobraccio e ci avviamo verso l’ascensore, mentre con la mano scaccia anche solo l’ipotesi. “Tutti in questa azienda sono degli stronzi. Spencer ha la fortuna di avere una fama che lo precede.”

 

Butto la testa all’indietro per lasciarmi andare a una risata sguaiata.

Quando ho a che fare con Emma mi ricordo che niente, alla Avenstone, può andare nel verso sbagliato.

Per fortuna.

 

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