Mary Ann P. Mikael - Boys Love
Alistair pensava di avere una missione semplice: vegliare su un anziano nella sua dimora scozzese… e scoprire un tesoro di famiglia. Ma oltre le pareti screpolate risuona un’arpa, emerge l’ombra di un lontano antenato e incombe un pericolo inaspettato. Come … more
Il vento soffiava forte e la pioggia si abbatteva furiosamente contro i vetri della vecchia dimora. Arroccato in cima a una scogliera, il Maniero McBroin si ergeva con tutta la sua imponenza, fiero monumento di un’epoca ormai tramontata.
Il sangue degli highlander scorreva nelle sue fondamenta, aveva nutrito la pietra che lo sosteneva e affrontava senza tregua l’attacco degli spruzzi oceanici sottostanti. Nel suo cortile si erano consumati innumerevoli duelli nel corso del tempo, senza mai scalfirlo. Sempre in piedi. Ampliato, rinnovato, modernizzato. Le generazioni vi si erano succedute con onore.
O almeno, fino a quel momento.
***
Il battente di una finestra si spalancò e sbatté ripetutamente contro il muro coperto da una tenda scolorita. Così forte che l’eco risuonò nel corridoio vuoto e gelido. Il vetro non avrebbe resistito a lungo alla furia del meteo.
Passi rapidi si avvicinarono e la finestra fu richiusa in fretta, bloccata con un pezzo di legno perché non si riaprisse. Sul pavimento, una pozza d’acqua aveva già iniziato a formarsi, allargandosi e venendo assorbita da un vecchio tappeto consunto.
“Non ne posso più di questa baracca” borbottò una donna sui quarant’anni, senza fiato.
Si passò una mano fra i capelli biondi e sospirò, appoggiandosi per qualche secondo alla pietra fredda e umida. Poteva sentire il vento insinuarsi attraverso le fessure che pullulavano nei muri. Il maniero cadeva a pezzi e nessuno muoveva un dito.
Una corrente d’aria gelida le sfiorò la nuca. Si irrigidì, ci posò sopra la mano per scaldarsi e riprese a camminare.
“Una in meno.”
Gliene restavano almeno una cinquantina da controllare sui tre piani. Quando il tempo infuriava come quella sera, la decrepitezza del luogo era lampante. Come si poteva anche solo pensare di vivere ancora in un posto del genere?
“Magali!”
La donna sobbalzò al suono della voce roca del padrone di casa.
“Magali!”
Con passo pesante e stanco si recò nel piccolo salotto arredato. Una delle poche stanze ancora usate. Il fuoco vi ardeva senza sosta, rassicurando chiunque venisse a riposarvisi. Magali assaporò per un attimo il tepore che ne emanava, poi si strinse meglio nel suo cardigan.
“Signor McBroin.”
“Ma mi chiami pure Angus.”
“Signor McBroin, cosa desidera?”
I suoi occhi azzurri rimasero fissi sul vecchio avvolto in diversi plaid e seduto comodo in una grande poltrona.
“Ho sentito un rumore.”
“Una finestra del corridoio si è aperta.”
“Oh, pensavo le avessimo fatte riparare l’anno scorso.”
“Erano quelle della sala da pranzo, signore.”
“Oh. Bisognerà chiamare Findlay.”
“Lo chiamo domani.”
Magali aggiunse della legna nel camino, poi controllò che le finestre del salotto fossero ben chiuse.
Fuori, la tempesta non accennava a placarsi. Il cielo era nero come l’inchiostro e di tanto in tanto lo squarciavano i lampi. Quando il tuono ruggì, ritrasse il capo nelle spalle, ma il suo sguardo rimase fisso sul cortile deserto, un piano più in basso. Un nuovo boato risuonò, ma quella volta vi si mescolava un tintinnio.
“L’ha sentito anche lei, Magali?”
Come non sentirlo? Quel tintinnio la svegliava ogni notte.
Con la mano stretta al cardigan, trasalì quando quel suono tintinnò nuovamente. Sinistro.
Detestava quel posto. Anzi, quella rovina. Non la si poteva chiamare diversamente. Arazzi a brandelli, pareti screpolate, il muretto crollato nel cortile, l’intera ala est del pianterreno murata… Una rovina.
Per fortuna, l’elettricità era l’unica cosa che funzionava ancora.
Decisa, stava per uscire dalla stanza quando il tuono esplose più forte e un boato riecheggiò, seguito dal buio. Tutte le luci si spensero. Avrebbe fatto meglio a tacere.
“È saltata la corrente” osservò l’anziano con la voce tremolante.
Non c’era bisogno che glielo dicesse, non era cieca. Anche se, senza il fuoco del camino, lo sarebbe stata eccome.
Frugò in tasca, accese la torcia del telefono. La batteria era sufficiente. Non era il momento di inciampare in un tappeto o cadere dalle scale sbrecciate. Nessuna ambulanza avrebbe affrontato l’uragano per arrivare fin lì. Con quella strada, poi: impraticabile. Un inferno.
“Vado a riattaccare la corrente.”
Angus annuì e afferrò il bicchiere di whisky dal tavolino a portata di mano. Il padrone di casa non poteva muoversi da solo.
Magali lasciò il salotto e richiuse la porta. Il gelo del corridoio le penetrò fin dentro le ossa. Era ora che quel vecchio pazzo lasciasse quel posto.
Le avevano detto:
“Vedrai, è ben pagato. Devi occuparti di un vecchio signore che vive in un maniero sulla scogliera. Questione di pochi mesi, al massimo. È malato, se arriva a fine anno sarà un miracolo.”
Un’opportunità. Il divorzio era stato appena pronunciato e un cambiamento le avrebbe fatto bene. Allontanarsi da quello stronzo di Logan. E in più era stato lui a ottenere la custodia di Frost, il loro cane. Una vergogna. Lei l’aveva cresciuto quanto, se non più, di lui.
Dunque, quando le avevano proposto quel lavoro, aveva colto al volo la possibilità di isolarsi e voltare pagina. Una volta finito, avrebbe potuto ricominciare da capo.
Che palle.
La torcia del telefono non illuminava tutto il corridoio, ma Magali sapeva dove andare. Erano due mesi che era lì. Due lunghi, interminabili mesi.
All’inizio, lo scenario le era parso idilliaco. Come non restare incantati davanti alla bellezza delle pietre, a quel panorama da cartolina? Un vecchio castello arroccato sulla scogliera a picco sull’oceano, blu e maestoso, circondato solo dal verde. Un viottolo portava alla strada che scendeva fino a una cittadina molto più in basso.
Angus non era complicato. Anzi, era abbastanza facile da gestire. Ma quello non era più il suo posto. Solo, in un maniero tanto grande, lontano da tutto. E soprattutto, che cadeva a pezzi e richiedeva cure continue.
Un tintinnio la fece sussultare.
“Finirò per avere un infarto.”
Si voltò verso la porta chiusa alla sua destra. Il rumore proveniva da quella stanza. Non ci aveva mai messo piede, da quando era arrivata. Frugando in tasca, tirò fuori il mazzo di chiavi.
Se ricordava bene, era la sala di musica. Non serviva più, da tempo nessuno suonava.
La porta gemette aprendosi, rivelando una stanza immersa nella penombra. Nel cono di luce del telefono si disegnavano sagome imponenti. Riconobbe un pianoforte. Uno scroscio di tuono, un lampo squarciò il cielo, illuminando l’ambiente. Scorse anche un’arpa, ma lo sguardo si fermò sulla finestra che sbatteva contro il muro.
“Le farò inchiodare, queste maledette finestre!”
La corrente la fece rabbrividire.
Merda, che freddo cane.
Si strinse nel cardigan e attraversò la stanza per richiudere i battenti. Un lampo la fece trasalire, il vento entrò con forza, le respinse la finestra dalle mani e fece vibrare le corde dell’arpa. Riconobbe quel tintinnio. Almeno un mistero era risolto. Avanzò per prendere un po’ di slancio, ma scivolò.
Non finirà mai, quest’incubo!
L’acqua era già filtrata all’interno, formando una grande pozza. Dopo qualche sforzo riuscì a richiudere.
“Domani me ne vado. Non mi importa quanto mi pagano, me ne torno a casa. E basta.”
Sì, basta. Avrebbe scritto la lettera di dimissioni, restituito le chiavi e fatto ritorno a Edimburgo. Neanche tutto l’oro del mondo l’avrebbe trattenuta in quel buco maledetto.
All’improvviso, Magali sobbalzò. Alcune note fugaci risuonavano nella stanza. Rapida, puntò la torcia verso l’arpa. Non poteva essere il pianoforte.
Niente. Lo strumento era immobile, al centro.
Il fascio di luce perlustrò la sala, vuota. Il cuore tornò a un ritmo normale. Magali si affrettò verso l’uscita, chiuse la porta a chiave dietro di sé.
Il colpo secco la fece sussultare ancora. Si voltò. Una corrente d’aria? Sicuro. Quel maniero era un colabrodo. Girò la chiave e le note dell’arpa tornarono. Stringendo il telefono, scosse la testa e riprese a camminare. Correnti d’aria. Maledette correnti d’aria.
“È solo il vento. Solo il vento. Solo il vento.”
Magali controllò lo schermo del cellulare. Nessun segnale. Com’era possibile che esistessero ancora posti di quel genere? La città le mancava. Eccome se le mancava.
Finalmente raggiunse la scala. Scese in fretta i gradini di pietra, saltò l’ultimo e arrivò al pianterreno.
Il contatore era stato sistemato sotto la scala durante i lavori di ristrutturazione. Con la sicurezza di chi l’aveva già fatto più volte, rialzò i fusibili senza esitazioni. Un rombo, e le luci al piano superiore tornarono a brillare. Un enorme peso le scivolò di dosso, e poté riporre il telefono.
“Così va meglio.”
Richiuse lo sportello e risalì due gradini alla volta. Si stava facendo tardi e non desiderava altro che la sua stanza.
Sarebbe tornata in salotto, avrebbe messo a letto Angus e sarebbe andata a dormire anche lei. Poi l’indomani avrebbe chiamato per dire che rinunciava. Fine.
Mentre passava davanti alla sala di musica, accelerò il passo. Le sentiva. Le note. Non era il vento. Non poteva esserlo. I suoni non erano dissonanti. Formavano una melodia.
Il freddo la sorprese di nuovo di fronte alla porta. Il corridoio era diventato glaciale. Giusto in quel punto preciso.
È solo il frutto della tua immaginazione, Magali. Solo immaginazione.
Eppure, non si fermò e voltò direttamente nel salone senza guardarsi indietro. Un unico obiettivo. Mantenere la testa sulle spalle.
“Signor Mc…”
Il vecchio padrone dei luoghi la fissava, con un bicchiere di scotch alla mano.
“Signore?”
Aveva lo sguardo perso, sembrava altrove. Immobile.
Un brivido le percorse la colonna vertebrale. Il fuoco del caminetto vacillò, diventando sempre più debole. Eppure aveva aggiunto la legna non molto tempo prima.
“Signore…”
Nessuna risposta. Una statua.
“Oh, merda!”
Si precipitò verso di lui nella speranza che non avesse avuto un ictus. Con la tempesta che infuriava fuori, i soccorsi non sarebbero arrivati prima dell’indomani. Sarebbe stato troppo tardi. L’avrebbero accusata di negligenza. La persona che le aveva offerto il lavoro non l’avrebbe pagata. Già avrebbe dovuto rinunciare a una parte del suo stipendio… Ma diamine! Era fuori discussione che rischiasse la sua vita o quella di quell’uomo solo per la paga.
Si inginocchiò per prendergli il polso. Non doveva morire.
Uno, due, tre, quattro, cinque. Non morire.
Respirava, il suo cuore batteva normalmente. Menomale. Un momento di assenza, solo quello.
Rimise quindi un tronco nel camino per tentare di riscaldarlo e non appena si voltò, sussultò.
“Dio mio, Signor McBroin.”
“Angus.”
Un sorriso caloroso animava debolmente le sue labbra screpolate e le rughe intorno agli occhi gli davano un’aria da mascalzone. Normale. Tutto era tornato normale.
“È l’ora di prendere le medicine e andare a letto.”
Era davvero tempo che lasciasse quel maniero folle.