Daniela Barisone - Boys Love
✨ Una webnovel narae selectIl meglio delle autrici self selezionate da narae, in collaborazione con il Festival Romance Italiano[TW] Un truffatore condannato a morte. Un Corvo incatenato al dovere. Un amore che nessuna legge dovrebbe permettere. Quando Finn Harrow viene … more
Finn Harrow era in piedi sulla piattaforma del patibolo con il cappio di canapa grezza che gli graffiava il collo, chiedendosi se le sue ultime parole dovessero essere profonde o volgari. L’idea di mandare tutti a fanculo non era male.
La folla sottostante era un assembramento pietoso: gente del posto annoiata che aveva già visto tutto e visitatori assetati di sangue che speravano in un bello spettacolo. Nessuno di loro aveva importanza. Ciò che contava era che, in circa tre minuti, il suo collo si sarebbe spezzato come un ramoscello e tutti i suoi piani ingegnosi sarebbero morti con lui, a meno che non gli fosse venuto in mente qualcosa di brillante e in fretta.
Il sole batteva come un martello su un’incudine, trasformando la piazza principale di Dustvale in una fornace di polvere e attesa. Il sudore colava lungo la schiena di Finn, incollando la camicia logora alla pelle. Aveva sempre immaginato di morire in modo più interessante: forse in una rissa con coltelli per una partita a carte, o avvelenato da un amante geloso. Non impiccato come spazzatura per il divertimento di questi topi del deserto.
Una folata di vento fece turbinare la polvere nell’aria, trasportando l’odore metallico del pozzo contaminato della città. Finn arricciò il naso. Se doveva morire, non poteva almeno farlo in un posto che non puzzasse come l’ascella di un fabbro?
Il boia, un uomo i cui bicipiti suggerivano che amasse un po’ troppo il suo lavoro, srotolò una pergamena con un gesto teatrale. Si schiarì la gola con un suono simile a quello della ghiaia in un secchio di metallo.
“Finnegan Harrow,” esordì l’uomo, anche se nessuno aveva più chiamato Finn con il suo nome completo da quando era morta sua madre. “Condannato per traffico di manufatti magici proibiti, truffa ai danni di onesti cittadini e…” il boia fece una pausa a effetto, “corruzione della morale pubblica.”
Finn quasi scoppiò a ridere all’ultima frase. Se solo avessero saputo il resto. Le accuse erano tutte vere, ovviamente, anche se ‘onesti cittadini’ era un eufemismo per la banda di tagliagole che chiamava Dustvale casa. Il suo vero crimine era stato quello di farsi catturare, oltre che sottovalutare l’avidità del suo ultimo socio.
“La corda è un po’ logora,” gridò Finn. La sua voce risuonò nella piazza silenziosa. “Mi dispiace pensare che ti sei dato tanto da fare solo per farmi penzolare e scalciare per cinque minuti. Non è carino.”
Qualche risatina nervosa si propagò tra la folla. Quel poco del volto carnoso del boia che il cappuccio rivelava, arrossì.
“Non preoccuparti per me,” continuò Finn, strizzando l’occhio a un giovane in prima fila che, a giudicare dai suoi occhi sgranati, non aveva mai assistito a un’impiccagione. “Sono stato in situazioni peggiori.”
Era una bugia. Finn era riuscito a cavarsela con le parole in risse con coltelli e celle di prigione, aveva sedotto le guardie e una volta era scappato da un baule chiuso a chiave mentre era sott’acqua, ma questa… questa volta era scacco matto. Il cappio era stretto, la piattaforma solida e nessuno tra la folla sembrava intenzionato a opporsi alla sua morte.
“Vorrei presentare un reclamo riguardo alla sistemazione,” disse Finn, alzando le mani legate per indicare il patibolo. “Il servizio è stato pessimo e la colazione? Immangiabile. Lascerò una recensione feroce quando tornerò a infestare questo posto.”
Ok, non era la migliore delle sue battute.
Lo sceriffo, un uomo magro con una faccia da lucertola essiccata al sole, sputò nella polvere. “Chiudi il becco, Harrow. Muori con un po’ di dignità.”
“Non ho mai avuto molto bisogno della dignità,” rispose Finn, anche se quelle parole di sfida gli sembravano vuote. Il cuore gli batteva forte contro le costole e, sotto l’aspetto spavaldo, una paura gelida gli attanagliava lo stomaco. Aveva sempre saputo che prima o poi i suoi trucchi sarebbero finiti, ma aveva sperato di avere più tempo.
I suoi occhi grigi scrutarono la folla un’ultima volta, osservando i volti di coloro che erano venuti a vederlo morire. La maggior parte erano sconosciuti, gente temprata dal deserto con espressioni scolpite dalla stessa roccia battuta dal vento del paesaggio. Ne riconobbe alcuni: il fabbro con cui Finn aveva flirtato, il mercante che aveva imbrogliato a carte, una donna con cui aveva condiviso il letto e che aveva abbandonato non appena il marito era tornato a casa prima del previsto.
Nessun amico, però. Finn non aveva amici. Gli amici si aspettavano lealtà e la lealtà era un lusso che non poteva permettersi.
Il boia si avvicinò alla leva che avrebbe fatto cadere la botola sotto i piedi di Finn. I piccoli occhi dell’uomo brillavano di anticipazione e Finn sentì la gola secca. Era arrivato il momento. Ventiquattro anni di intrighi e sopravvivenza, conclusi con un solo movimento di un pezzo di metallo arrugginito.
“Ultime parole?” chiese il boia, con la mano sospesa sopra la leva.
Finn aprì la bocca, con un’ultima battuta pronta sulla lingua, quando un tumulto si propagò tra la folla. Le teste si voltarono e la folla si aprì.
Una figura avanzò a grandi passi e i sussurri cessarono all’istante.
Anche dal patibolo, Finn sentì l’ondata di terrore che investì la piazza. Il nuovo arrivato indossava un mantello nero come una notte senza stelle e si muoveva con la grazia fluida e predatoria di qualcosa di non proprio umano. Ma fu la maschera a gelare il sangue nelle vene di Finn: una maschera in osso, la parte frontale e superiore di un cranio umano, con orbite vuote che in qualche modo riuscivano a vedere tutto.
Un Corvo. Uno dei temuti giustizieri dell’Ordine.
Il silenzio della folla era ora assoluto, persino i bambini avevano smesso di agitarsi. Nessuno osava respirare troppo in presenza di un Corvo. Erano i difensori della legge in una terra senza regole, giudici e carnefici che rispondevano a poteri più grandi e oscuri di qualsiasi sceriffo locale.
Gli stivali del Corvo lasciarono impronte chiare nella polvere mentre si avvicinava, ogni passo deliberato e senza fretta. Il peso della sua presenza sembrava comprimere l’aria nei polmoni di Finn mentre saliva i gradini di legno che portavano alla piattaforma del patibolo.
Da vicino, la maschera d’osso era ancora più inquietante: toccata così tante volte fino a diventare opaca e perfettamente aderente al viso di chi la indossava.
L’unica cosa che si vedeva dalle orbite, in contrasto con la pelle dipinta di nero, erano due fulgidi occhi azzurri. Quando il Corvo parlò, la sua voce emerse da dietro la maschera con la profondità e la definitività della porta di una tomba che si chiude. “Lo reclamo come Vincolato.”
Quattro parole, pronunciate senza enfasi né emozione, ma che colpirono Finn come una mazzata. La mano del boia si bloccò sulla leva; la sua bocca si aprì e si chiuse. Sembrava un pesce gettato sulla terraferma.
“Ma…” iniziò lo sceriffo, poi tacque quando il Corvo rivolse verso di lui le orbite vuote della maschera.
La mente di Finn correva. Vincolato? Che cazzo era un Vincolato? E perché un Corvo, un agente dell’ordine che puniva uomini come lui, avrebbe dovuto intervenire nella sua esecuzione?
Il boia esitava ancora, con la mano posata sulla leva, diviso tra la paura del Corvo e il dovere verso la sua carica. Il momento si protrasse, teso come la corda attorno al collo di Finn.
In quell’istante sospeso, con la vita in bilico sul filo di una lama, Finn capì che la sopravvivenza poteva non essere la vittoria che aveva immaginato. Qualunque cosa lo aspettasse per mano del Corvo, non era misericordia.
Nessuno sfidava l’autorità di un Corvo. Nemmeno la morte stessa.